Cosa ne è e cosa ne sarà di un capoluogo di regione che appare sempre più in sofferenza? La soluzione può banalmente essere Catanzaro ai catanzaresi? In linea di massima non siamo grandi fan di questo slogan e soprattutto di questa prospettiva. Intanto, perché in un mondo globalizzato, pensare di chiudere una città in se stessa è quantomeno velleitario, per non dire stupido. E non è appunto detto che, anche se fosse possibile, sarebbe la soluzione al problema di una città sempre più emarginata. Marginalizzata nel contesto calabrese e, a maggior ragione, in quello nazionale.
Anzi magari è proprio il modo per alimentare ulteriormente certe incrostazioni. Soprattutto in un tessuto sociale infettato dalla malapianta della corruzione. E del consociativismo. Ma resta il fatto che Catanzaro fra le realtà periferiche (o di provincia) del Paese, quelle cioè senza immigrazione di gente proveniente da altri luoghi d’Italia tipo Roma o Milano ecc., è l’unica che ha molti posti chiave occupati da chi catanzarese non è. Succede con la Sanità; gli apparati burocratici locali di livello più alto e persino con le istituzioni culturali. Come l’Accademia di Belle Arti, ad esempio, con la città che ha perso la presidenza della stessa Abac dopo la scelta della ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini.
Ci riferiamo alla decisione di far succedere all’ormai vecchio presidente Aldo Costa, la nuova Stefania Mancuso. Professoressa lametina con un curriculum di tutto rispetto, per carità. Ma che avevano anche alcuni, non tutti per la verità, dei suoi competitor catanzaresi. La decisione è stata ministeriale però, si dirà. Certo. Ma resta il fatto che Catanzaro evidentemente non esprime professionalità di livello. O non abbastanza, almeno. E non solo per essere designati al vertice dell’Abac, ribadiamo. Una triste realtà, che acuisce la desolazione di un panorama cittadino sempre più in disarmo.
