Riceviamo e pubblichiamo

Un’altra estate volge al termine, e con essa vanno via urgenze, ulcere, utopie.

Torneremo ai nostri affanni che, diceva S. Agostino, sono i balocchi dei grandi.

Torneremo a rimandare, a costruire certezze fragili, a mentire, inghiottiti da giorni mediocri e indistinti.

È questa la felicità di terracotta.

Che inseguiamo senza scossoni e senza livore e, soprattutto, senza magia.

Le fate, forse, continuano a farci paura.

E quando le fate fanno paura c’è da ritornare fra gli uomini.

Quelli di buona volontà.

Quelli che ancora credono che la bellezza salverà il mondo non sia solo una frase, ma un precetto e un monito.

Quando le fate fanno paura è segno che abbiamo sbagliato tutti.

La Sila è un anticipo di paradiso.

Al pari del mare di Ardore.

E al pari di Africo Vecchio, di San Lorenzo Bellizzi, di Fabrizia.

Di Carlopoli e Panettieri che sono fratelli.

Forse, ogni tanto, farebbe bene ricordarselo.

E far ritornare le fate.

Che, al contrario di chi si veste da eroe quando c’è da racimolare gloria e consenso, non fanno mai male.

Anche quando la loro casa, tra gli abeti e l’Oriente, rimane terra di nessuno e la sconfitta di tutti.

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