Il problema è sempre uno: Fabio Caserta sì o no? Perché la questione Catanzaro Calcio, edizione 2024/2025, è tutta qui. L’allenatore giallorosso non convince. E questo ancor da prima di firmare il contratto con l’Uesse 1929, per la verità. Tanto che, come abbiamo scritto nel racconto della partita di ieri, è inutile continuare a… torturarsi, rimuginando sul ricordo della supersquadra vivariana (leggi qui: https://irriverentemente.com/?p=6280). Che, semplicemente, non esiste più. Innanzitutto per le partenze di alcuni uomini chiave, tra cui citiamo il solo Jari Vandeputte, in rappresentanza delle varie altre. Addii che hanno fatto il paio con quelli del tecnico Vincenzo Vivarini, in primis, e dell’itero staff dirigenziale con dg Giuseppe Magalini e ds Diego Foresti unitamente ad altre figure… minori, diciamo così. Ragion per cui, stropicciarsi gli occhi quasi come fossero la lampada di Aladino per vedere uscire di botto il vecchio scintillante Catanzaro degli ultimi tre anni mentre si sta assistendo a quello, francamente abulico, nuovo è secondo noi uno sbaglio. E anche grave, aggiungeremmo. Perché la società ha fatto una scelta precisa, malgrado da molti comprensibilmente non condivisa. Tanto che, al netto di qualche decisione personale di trasferirsi altrove magari inevitabile, se il vertice giallorosso avesse lasciato intendere che si sarebbe ancora una volta mirato a un campionato di vertice, persino fino al punto di inseguire la serie A, secondo il nostro modesto parere in pochi avrebbero fatto… fagotto. A cominciare proprio da “Viva”. È chiaro, ormai.
Chi sarebbe andato via da Catanzaro nell’estate appena finita se solo….?
Nessuno avrebbe abbandonato la piazza catanzarese con il suo calore, la tranquillità tutto sommato di un ambiente a misura d’uomo (e ancor più di calciatore), e soprattutto una proprietà molto seria e solida. Che non deve “dieci lire” ad alcuno. E di questo ne siamo ragionevolmente certi. È legittimo, però, che chi “caccia i soldini” come si dice in gergo, decida cosa farne e in particolare quanti “cacciarne”. Fino al punto che noi, sempre molto critici (non per il calcio) con il patron Floriano Noto (forse gli unici in una Città del Peccato, e del lecchinaggio spinto, in cui molti si tolgono il cappello solo sentendone il nome), stavolta siamo con lui. Dalla sua parte, insomma. E ribadiamo pur avendolo aspramente criticato in passato per le continue negative sortite politiche e l’influenza comunque esercitata sulla classe dirigente locale in primis a Palazzo De Nobili. Ma se è vero che, sempre secondo il nostro modesto parere, ha messo il nuovo stadio (qualcuno si è spinto a definirlo il Coop Stadium) al centro del progetto Serie A non gli si possa dar torto. La scelta è condivisibile. Nella maniera più assoluta. E Noto fa bene ad assecondarla, anche perché crediamo (fate pure tutti i debiti scongiuri del caso, cari amici lettori) che con lui al timone, le Aquile non retrocederanno. Mai e poi mai. Un’affermazione che a parecchi può sembrare impegnativa, e finanche azzardata, ma su cui noi siamo pronti a scommettere.
Ecco perché Noto sul nuovo stadio e conseguente freno all’obiettivo massima serie ha ragione
Sul nuovo stadio e conseguente freno all’obiettivo massima serie, Noto ha ragione. Perché se facessimo gli imprenditori, conti della serva alla mano, in A con il Ceravolo ci rimetteremmo un sacco di quattrini. E poiché nel calcio non è certo più il tempo dei presidenti “mecenati e innamorati”, alla Costantino Rozzi per intenderci, bensì dei fondi d’investimento semmai, da almeno una quindicina d’anni a questa parte, ci chiediamo retoricamente perché mai un operatore economico dovrebbe rimetterci. Proprio Noto, poi. Resta il fatto, però, che aver ingaggiato Caserta sia stato un errore.
E pure bello grosso. Considerato come, se è vero che il tifoso è attaccato quasi esclusivamente ai risultati, è altrettanto vero non disdegni il bel gioco. Oggigiorno è così, anche nelle piazze più pragmatiche ed esigenti. E talvolta addirittura in alternativa ai risultati, se questi proprio non vengono per un breve periodo. È il caso di Motta alla Juve (solo in campionato) e mille volte di più di Fonseca al Milan. Tecnici a cui qualche attenuante, e del tempo per lavorare, vengono concesso.
Assai più al primo che al secondo, naturalmente. Che tuttavia nessuno… massacra. Neppure a livello mediatico. Storia molto diversa, oltreché contesto totalmente differente, per Caserta. A cui invece nessuno, ma proprio nessuno, nell’ambiente giallorosso perdona il “non gioco”. Ergo, urge invertire il trend dopo una sosta che arriva nel momento forse più propizio. E presentarsi così nell’anticipo di Bari in programma poco oltre la metà del mese, dove si troverà peraltro il citato ex Magalini, con un piglio assai differente. Pena la definitiva rottura, troppo presto purtroppo, di un giocattolo che sembrava perfetto. E che tanto faceva godere i tifosi giallorossi, orgogliosi del calcio champagne della loro squadra del cuore.
