Riceviamo e pubblichiamo
“Ci sono numeri che raccontano una realtà che spesso si preferisce non guardare. Sono i numeri del lavoro delle donne in Italia, quelli che ogni giorno disegnano i contorni di un Paese che ha ancora enormi difficoltà a riconoscere il valore e la fatica del lavoro femminile”. È quanto afferma Caterina Vaiti Segretaria regionale Flai Cgil Calabria nell’appello al voto ai referendum di domenica.
“Nel 2024, il nostro Paese resta fermo al 111° posto su 146 per partecipazione femminile al lavoro (Global Gender Gap Report). Solo il 53,5% delle donne ha un impiego, contro il 70,9% degli uomini.
E quando arrivano i figli, la situazione peggiora drasticamente: una donna su tre abbandona il lavoro dopo la maternità. Mancano i servizi, mancano le tutele, manca la possibilità di scegliere”, afferma Vaiti.
“Non si tratta solo di occupazione, ma di qualità dell’occupazione. Ancora oggi quasi la metà dei nuovi contratti per le donne è part-time, spesso involontario. Un tempo ridotto che diventa stipendio ridotto, carriera sacrificata, pensione povera: il gender pay gap reale tocca il 25% nel privato e cresce man mano che si sale nella carriera e nell’istruzione. Alla fine del percorso lavorativo, le donne percepiscono pensioni più basse del 36% rispetto agli uomini”, dice ancora la segretaria regionale della Flai Cgil Calabria.
“Ma c’è un’altra faccia di questa disuguaglianza: la sicurezza sul lavoro. Una sicurezza che per molte lavoratrici semplicemente non esiste. Nei settori dove la presenza femminile è maggiore – sanità, assistenza, cura, servizi alla persona – aumentano gli infortuni, i disturbi da stress lavoro-correlato, le aggressioni e le molestie. Solo nel 2023, oltre il 26% degli infortuni mortali in itinere ha riguardato donne.
Quasi 2 milioni di lavoratrici, secondo l’Istat, hanno subito molestie sul posto di lavoro nell’arco della loro vita professionale. È un’emergenza che spesso viene sottovalutata o raccontata come fisiologica.
Non lo è. Di fronte a tutto questo, troppo spesso il messaggio che arriva dalla politica — da chi sminuisce la portata del voto o invita addirittura a non votare — è quello di un silenzio pericoloso. Come se i problemi si potessero congelare o rinviare. Come se rinunciare al proprio diritto di voto fosse un gesto neutro. Non lo è”, rimarca.
“L’8 e 9 giugno, votare ai referendum sul lavoro non è solo esercitare un diritto: è un gesto di responsabilità e giustizia verso chi lavora ogni giorno in condizioni difficili, invisibili, precarie, esposte a rischi che spesso non vengono nemmeno nominati – si legge ancora nella nota -.
Per questo, oggi più che mai, è necessario un vero cambio di rotta. Un lavoro buono, stabile, sicuro e libero da discriminazioni è il presupposto essenziale per garantire autonomia economica, dignità e diritti a tutte le lavoratrici.
Servono scelte coraggiose a partire da misure concrete per garantire la sicurezza sul lavoro con un approccio che tenga conto delle differenze di genere nella valutazione dei rischi, dei dispositivi di protezione individuale, della prevenzione e del riconoscimento pieno delle malattie professionali e psicosociali”.
“L’8 e 9 giugno, con i referendum promossi dalla Cgil, abbiamo l’opportunità concreta di fermare questa deriva.
Votare non è solo un diritto: è un atto di giustizia verso le tante donne che ogni giorno pagano sulla propria pelle il prezzo della precarietà e della mancanza di tutele”, conclude la segretaria Vaiti.
Scarsa informazione
«Il gesto del sindaco di Jonadi, Fabio Signoretta, che ha avuto il coraggio di porre pubblicamente il tema della mancanza di un’adeguata informazione istituzionale sui referendum dell’8 e 9 giugno, è una sollecitazione che non può essere derubricata a semplice polemica — afferma Enzo Scalese, segretario generale della CGIL Area Vasta — ma che chiama in causa il cuore stesso della democrazia: il diritto dei cittadini ad essere informati per esercitare consapevolmente il proprio voto».
«Noi da settimane denunciamo il silenzio assordante che accompagna questa importante consultazione referendaria: si tratta di quesiti che toccano questioni fondamentali per milioni di lavoratori, precari, giovani, famiglie. Temi come i licenziamenti illegittimi, i subappalti selvaggi, la sicurezza sui luoghi di lavoro, il diritto al reintegro, non sono materia da pochi addetti ai lavori, ma riguardano la qualità del lavoro e la dignità della persona».
«Eppure, mentre su ogni altra campagna elettorale assistiamo a settimane di dibattiti televisivi e spazi dedicati, sui referendum sul lavoro regna una colpevole disattenzione, alimentata anche da scelte istituzionali discutibili».
«La scelta di un sindaco, di un rappresentante delle istituzioni locali, di farsi carico della domanda di informazione dei propri cittadini, rompe finalmente questa cappa di indifferenza e rassegnazione. Non è una provocazione, ma un atto di responsabilità. La partecipazione democratica si fonda sul pluralismo dell’informazione, non sul silenzio. La Costituzione parla chiaro: la sovranità appartiene al popolo e non c’è esercizio sovrano senza una piena consapevolezza delle scelte».
«È proprio questa la battaglia che come CGIL, anche a livello territoriale, stiamo portando avanti: non per difendere una bandiera di parte, ma per difendere i principi fondamentali su cui si regge una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Senza informazione non c’è libertà di scelta, senza confronto pubblico non c’è vera partecipazione. E ogni ostacolo a un dibattito libero e diffuso non è neutralità, ma è già una forma di orientamento subdolo del voto».
«L’8 e 9 giugno — conclude Scalese — non si vota su un tecnicismo giuridico, ma su un’idea di Paese. È per questo che ogni spazio di discussione, ogni occasione di confronto, ogni sforzo per spiegare ai cittadini il contenuto dei quesiti referendari deve essere non solo consentito, ma sostenuto. Ringrazio chi, come il sindaco di Jonadi, ha scelto di non girarsi dall’altra parte. Serve oggi più che mai uno scatto di coscienza democratica. La partecipazione si costruisce con la trasparenza, non con il silenzio».