Articolo e foto tratti da Ansa 

Giornalisti intercettati dall’editore nelle loro postazioni di lavoro. E’ quanto sarebbe emerso a seguito di un’indagine coordinata dalla Procura di Vibo Valentia e condotta dalla Digos della Questura, con il supporto degli agenti della Squadra Mobile e della Divisione anticrimine, che hanno proceduto al sequestro preventivo, emesso dal gip, di beni per un valore di circa 26.300 euro nei confronti dell’amministratore e dell’institore di una società editoriale multimediale con sede nel Vibonese e attiva sul territorio regionale.

Gli indagati dovranno rispondere dei reati di indebita percezione di erogazioni a danni dello Stato e di installazione di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni tra altre persone.

L’attività di indagine è scattata sulla base delle dichiarazioni rese da alcuni giornalisti, dipendenti della società, secondo cui l’editore aveva installato, in prossimità delle postazioni di lavoro dei giornalisti, delle telecamere munite di microfono per captare le comunicazioni in prossimità delle postazioni di lavoro.

Gli stessi giornalisti avevano aggiunto, inoltre che l’editore avrebbe fittiziamente ridotto l’orario di lavoro dei dipendenti del 30% ricorrendo alla cassa integrazione guadagni, per scaricare parte dei costi del lavoro sull’Inps, nonostante, di fatto, fosse stato mantenuto dai lavoratori interessati il consueto orario.

“Gli approfondimenti investigativi, svolti dagli agenti della Digos sotto il coordinamento della Procura di Vibo – è detto in una nota della Questura – hanno consentito, attraverso l’escussione di ulteriori giornalisti, alcuni dei quali attualmente in servizio presso altre testate giornalistiche e di lavoratori impiegati nella società con mansioni diverse e attraverso l’analisi della documentazione acquisita presso l’Inps, di riscontrare quanto dichiarato dai denuncianti, attestando come l’editore avesse effettivamente posto in essere una contrazione non veritiera dell’orario di lavoro, conseguendo un indebito risparmio di spesa equivalente alla mancata corresponsione della parte di salario coperta dall’ammortizzatore sociale ai lavoratori dall’Inps e non dal datore di lavoro, per un totale di circa 26.300 euro”.

A seguito di una perquisizione nelle sedi sono state sequestrate delle apparecchiature di videosorveglianza e archiviazione di dati.

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