Articolo e foto tratti da Sky Tg24
Dal 20 gennaio cambierà tutto, o forse no. Ma comunque è meglio prepararsi. La vittoria di Donald Trump nelle elezioni americane stravolge le prospettive della guerra in Ucraina. Il presidente eletto, in campagna elettorale, ha promesso di far finire la guerra in poche ore, promesse che ha ribadito anche negli ultimi giorni, sempre senza fornire dettagli del suo piano.
Ma intanto già adesso, in attesa del suo insediamento, sono in corso i preparativi delle diverse parti coinvolte nel conflitto (Russia, Ucraina, Europa occidentale ed Europa orientale) per non farsi trovare impreparati. Il cambio di amministrazione americana a quanto pare porterà un contemporaneo cambio nella politica diplomatica e nella strategia militare americana. Meglio essere pronti, magari riposizionarsi, o comunque ribadire la propria linea.
Trump insiste: la guerra deve finire
Il primo a preparare il terreno per il 20 gennaio è lo stesso Donald Trump. Se la telefonata diretta tra lui e Putin è stata smentita dal Cremlino e non confermata dallo staff del presidente eletto, il tycoon è però tornato sul conflitto dicendo esplicitamente che la sua amministrazione lavorerà duramente su Russia e Ucraina: “Deve finire, Russia e Ucraina la devono smettere”.
Biden tenta di far approvare un ultimo pacchetto di aiuti
Intanto, nel timore che gli aiuti militari americani si blocchino improvvisamente, il presidente uscente Biden, che ad aprile è riuscito a sbloccare un maxi pacchetto di aiuti da 61 miliardi di dollari, ha fatto sapere che entro fine anno proverà a far approvare al Congresso un ultimo blocco di forniture all’Ucraina. Ma questo ennesimo eventuale pacchetto non sembra poter portare alcun cambiamento concreto alla situazione sul campo, che non volge a favore dell’Ucraina nonostante anni di aiuti militari enormi da parte dell’amministrazione Biden, aiuti che però sono quasi sempre arrivati dopo mille dubbi, con ritardi nelle consegne e soprattutto con forti limitazioni all’utilizzo delle armi da parte di Kiev.
G7, Nato, ed Europa occidentale: non facile cambiare la linea
L’eventuale cambio della posizione americana sull’Ucraina è giustificato e anzi annunciato dal cambio di presidente, diversa è la posizione degli altri alleati occidentali dell’Ucraina, dalla Nato al G7, per finire con l’Europa occidentale. Impossibile, dopo tanti proclami, fare marcia indietro e abbandonare l’Ucraina al suo destino. A partire dal 24 febbraio 2022, dall’inizio dell’invasione russa, la solidarietà europea all’Ucraina è stata incrollabile, con pacchetti di aiuti umanitari e militari, accoglienza dei profughi, imposizione di sanzioni e condanne all’operato di Putin. Però ora è altrettanto impossibile aiutarla a tempo indeterminato senza il contributo militare americano. Dal G7 di Rio è arrivata comunque una dichiarazione di sostegno duraturo a Kiev in vista del millesimo giorno di guerra: “La Russia – scrivono i leader – resta l’unico ostacolo ad una pace giusta e duratura”.
In realtà, in questo quadro diplomatico cristallizzato, la telefonata di Scholz a Putin, dopo due anni di silenzio, sembra essere un primo segnale di riposizionamento. Uno sdoganamento di Putin come un leader con cui si può parlare.
Che forse non a caso viene dal leader europeo che si è sempre rifiutato di fornire a Kiev i missili Taurus, tanto richiesti dall’Ucraina per colpire in profondità l’esercito russo. Scholz ha ribadito la linea europea e chiesto a Putin di ritirare le truppe e di negoziare con Kiev, ha condannato gli attacchi russi contro le infrastrutture civili e sottolineato come l’invio di soldati nordcoreani in Russia costituisca una grave espansione del conflitto. Ma, in sostanza, ha riaperto il dialogo con Putin. Suscitando l’ira di Zelensky.
I Paesi baltici e la Polonia: intransigenti con la Russia
L’Europa occidentale, per storia e posizione geografica, ha una posizione diversa e meno radicale rispetto a quella dei paesi baltici e dell’Europa orientale come la Polonia o più a nord la Svezia, che sono molto preoccupati dalla vicinanza russa e da un eventuale allargamento del conflitto. I decenni di dominazione sovietica non hanno lasciato un buon ricordo in questi paesi, che infatti all’indomani dell’indipendenza dall’Urss si sono affrettati a fare domanda di adesione alla Nato.
Adesso Lituania, Estonia, Lettonia e Polonia sono in prima linea nell’aiutare Kiev, e continuano a ribadire la condanna dell’aggressione russa. Come ha detto il premier Tusk subito dopo la telefonata tra Scholz e Putin: siamo felici che il cancelliere abbia condannato l’aggressione russa e ribadito la posizione polacca: “Niente che riguardi l’Ucraina senza l’Ucraina”.
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L’Ucraina: Scholz ha aperto il vaso di Pandora
Subito dopo la telefonata Zelensky ha accusato Scholz di aiutare Putin: “Apre il vaso di Pandora, adesso potrebbero esserci altre conversazioni. La telefonata lo aiuta a rompere il suo isolamento internazionale e quello della Russia. In ultima analisi Scholz ha aiutato Putin a continuare la guerra in Ucraina”.
In tutto questo Zelensky continua a chiedere agli alleati ancora armi, munizioni e difese aeree. Ma il presidente, che poche settimane fa ancora presentava il suo piano per la vittoria, ha messo adesso a punto un piano in 10 punti per la resilienza ucraina, che è cosa ben diversa dalla vittoria. Sono misure che servono a far restare forte il Paese, come la difesa della sovranità culturale e la resistenza alla russificazione, per finire con la sopravvivenza economica.
Parallelamente Zelensky blandisce Trump in tutti i modi possibili, dai complimenti per la vittoria alle dichiarazioni in cui si dice fiducioso che con Trump alla guida dell’America la guerra finirà prima del previsto. Non una parola però finora è stata spesa dal governo ucraino sulla possibilità, anche teorica, di cedere territori e rinunciare ai confini del 1991 pur di arrivare alla pace.
La fine del conflitto adesso, però, per il presidente ucraino potrebbe arrivare già per il 2025, con “mezzi diplomatici” e non più con la sconfitta sul campo della Russia.
La Russia resta ferma
Anche perché sul campo la Russia sta avanzando in maniera costante da diversi mesi su quasi tutta la linea del fronte. In attesa del 20 gennaio e dei possibili sviluppi futuri la strategia russa sembra quella di voler conquistare il massimo dei territori possibili in Donbass, in attesa di un cessate il fuoco che congeli i combattimenti. A quel punto si faranno i conti. Ma Mosca finora è rimasta ferma sugli obiettivi dichiarati all’inizio della “operazione militare speciale” e ribaditi da Putin durante la telefonata con Scholz. Qualsiasi accordo deve tener conto delle nuove realtà territoriali, è cioè della Russia che controlla circa il 20% di territorio ucraino. Non solo, vanno considerati anche “gli interessi di sicurezza della Federazione russa e le cause profonde del conflitto”. Che per Putin, è notorio, vanno ricercate nella “politica aggressiva della Nato, che ha cercato di creare un avamposto russo in Ucraina, calpestando i diritti dei residenti di lingua russa”. A parole il ministro degli esteri Lavrov si è detto aperto ad ascoltare le proposte di Trump sulla pace, sollevando dubbi però sul fatto che possa arrivare tanto rapidamente. Ma contemporaneamente il Cremlino ha ricordato quali siano le condizioni per un cessate il fuoco fissate da Putin lo scorso giugno: ritiro spontaneo dell’esercito ucraino dai territori che ancora occupa nelle quattro regioni che la Russia ha già annesso (Zaporizhzhia, Kherson, Donetsk e Luhansk) e soprattutto l’impegno ufficiale dell’Ucraina a non entrare mai nella Nato. La Russia, in sostanza, non si smuove di un millimetro dalle sue posizioni.
Le settimane prima del 20 gennaio
Per quanto l’Europa e gli Stati Uniti siano pronti a riposizionarsi e ad aprire un dialogo con Mosca, le richieste e le aspettative delle due parti, Russia e Ucraina, sembrano ancora molto lontane. In particolare l’odio e la distruzione portate da quasi 3 anni di guerra totale non saranno facili da superare. Zelensky considera Putin un criminale di guerra, mentre la presidenza russa continua a fare riferimenti sulla necessità di liberare l’Ucraina dai suoi governanti filonazisti. Ma anche per russi e ucraini le settimane che ci porteranno al 20 gennaio, all’insediamento di Donald Trump saranno importanti per capire a cosa si può e non si può rinunciare. Consapevoli che un buon compromesso è sempre quello in cui entrambe le parti sentono di aver perso qualcosa.