*Su segnalazione di un lettore utente dell’ospedale soveratesi
Chiunque abbia avuto in famiglia un malato in dialisi, sa come si sente dopo 3-4 ore di… trattamento! Mentre gli si depura il sangue, grazie a una macchina, perché i reni non lo fanno più. E credeteci: sappiamo purtroppo di cosa parliamo. Ecco perché, soprattutto i pazienti in avanti con gli anni o alle prese con altre patologie o semplicemente più debilitati, devono essere accompagnati a casa con l’ausilio di sedie a rotelle, se non in particolari situazioni addirittura in barella. A occuparsi del trasporto fino alle cosiddette automatiche, con cui poi si accompagnano i malati nelle proprie abitazioni, sono spesso i collaboratori delle varie ditte private, “Croci di vari colori”, che garantiscono questo prezioso servizio.
Personale che però, essendo assolutamente… estraneo all’amministrazione ospedaliera, non è dotato di chiavi per gli ascensori riservati ai sanitari interni. Solo che, quando l’ascensore diciamo così comune, quello per tutti gli utenti del nosocomio, si guasta, come pare sia accaduto nell’ospedale di Soverato in questi giorni, la ricerca della chiave per fruire di quello dei dipendenti è un’operazione non semplice.
E, dato ancor più significativo, nient’affatto rapida. Soprattutto in alcuni casi. Senza contare che quest’ultimo ascensore è molto più pulito, perché di gran lunga meno usato come ovvio, rispetto al primo. E per una persona appena dializzata è un fatto importante. Ecco perché magari, si dovrebbe lasciare una copia della chiave a un addetto o infermiere della Sala Dialisi che dovrebbe sbloccare l’elevatore a… richiesta. Ovvero coordinandosi, magari telefonicamente, senza che sia materialmente raggiunti dall”accompagnatore privato’ del paziente. Perché questo, come premesso, moltiplica i tempi di attesa e non va bene