Articolo tratto da Gds
L’inchiesta era partita da Brescia, dove il Ros dei carabinieri aveva scoperto che alcune persone avevano contatti con un’utenza all’interno del carcere di Lanciano.
I militari dell’Arma scoprirono che l’utilizzatore di quel numero era Umberto Bellocco (classe 83).
Il giovane boss della potente cosca di Rosarno era stato condannato nel processo denominato “Blue call”, ma secondo la Procura antimafia di Reggio Calabria continuava a gestire il clan dall’interno della sua cella.
L’operazione
Da qui nasce l’operazione “Blu notte”, ennesima inchiesta della Dda reggina contro la famiglia Bellocco di Rosarno, che nel settembre dello scorso anno aveva portato alla condanna dei 42 imputati processati in abbreviato.
Il perché di quelle condanne si ritrova nelle motivazioni alla sentenza del gup distrettuale. E un ruolo di primo piano è riservato proprio a Umberto Bellocco, considerato il reggente del clan dopo gli arresti dei capi storici e condannato a 20 anni di reclusione in primo grado nel processo “Blu notte”.
«Dalle numerose conversazioni intercettate – si legge nelle motivazioni – emerge la prova che Umberto Bellocco, detenuto al carcere di Lanciano in regime di alta sicurezza, veniva aggiornato in tempo reale da Francesco Benito Palaia su tutte le azioni criminali della cosca, emanando direttive vincolanti al cognato, partecipando alle riunioni a casa Palaia e ai summit mafiosi.
Ivi organizzati dal cognato e interloquendo direttamente con i soggetti via via coinvolti nelle dinamiche criminali registrate nel corso della presente indagine».
Figura di riferimento per gli affiliati in libertà e tutore delle regole mafiose del casato rosarnese, «il boss recluso predicava l’unità della famiglia mafiosa e la comunione di intenti tra i leader storici della famigerata cosca Bellocco di Rosarno – aggiunge il gup – una delle consorterie più potenti di sempre della ’ndrangheta che, visto il tracciato segnato dal giovane reggente, sarebbe dovuta tornare ad essere dominante.
Umberto Bellocco si erge a fautore delle regole del passato ed esige la compattezza della propria consorteria, ponendo già le basi per capire verso quale prospettiva verrebbe indirizzata la propria azione una volta scarcerato».
Il giudice per l’udienza preliminare, per rafforzare le sue parole, mette in evidenza un messaggi che Bellocco invia a suo cognato: «…La parola a casa nostra era una, oggi non lo so…».
La posizione di preminenza di Umberto Bellocco all’interno della cosca è stata confermata anche dai pentiti. «Vincenzo Albanese – sottolinea il gup – ha riferito della sua appartenenza alla cosca con carica elevata.
Il collaboratore Giuseppe Cacciola riferiva sinteticamente che è uno dei componenti della cosca più violenti, erede del prestigio criminale del padre e destinato a reggere la cosca in assenza del fratello e dei cugini».
