Articolo tratto dal web
Il prefetto Nicolò D’Angelo in commissione parlamentare d’inchiesta: «I rapporti di Enrico De Pedis con il Vaticano erano abbastanza stretti, in particolare con Marcinkus». Il «filo rosso» Ior-Calvi-malavita-Emanuela.
Emanuela Orlandi rapita dal boss della banda della Magliana Enrico De Pedis? Un ex investigatore esperto di «mala» romana, che ha concluso la carriera ai vertici della polizia, non lo esclude affatto. «Io non ho prove per affermarlo, non posso sostenerlo perché non ho prove certe, ma posso dire che, molto probabilmente, lui ha a che fare con questo sequestro».
Così si è espresso il prefetto Nicolò D’Angelo, già vice capo della polizia (nominato nel 2017) e all’epoca dei fatti (1983) funzionario della Squadra mobile di Roma, davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle scomparse Orlandi-Gregori, rispondendo alla domanda della deputata Stefania Ascari.
Il monsignore-banchiere
L’esponente del M5S aveva chiesto al super-poliziotto se, secondo lui, Enrico «Renatino» De Pedis sia stato coinvolto nel sequestro di Emanuela Orlandi. «I rapporti Oltretevere erano abbastanza stretti e non escludo che possa essere stato interessato», ha replicato D’Angelo, che si è a lungo occupato della Banda della Magliana, facendo riferimento ai collegamenti in Vaticano, «con Marcinkus in particolare». Il monsignore-banchiere statunitense, come noto, negli anni ’80 era capo della banca vaticana, lo Ior, e finì sotto accusa per la bancarotta del Banco Ambrosiano, che costò alla Santa Sede un esborso di centinaia di milioni di dollari (in seguito all’accordo di Ginevra, firmato nel maggio 1984).
Il ruolo dei «testaccini»
Il prefetto D’Angelo è sceso anche più nel merito: «Una delle prime domande che abbiamo fatto a Claudio Sicilia (malavitoso della Magliana, pentito, ndr) fu sulla Orlandi: non ha saputo o non ha voluto dare alcuna risposta», ma «c’è un aspetto interessante» che riconduce al «ruolo di Enrico De Pedis» e agli «investimenti» che il gruppo Testaccio della banda della Magliana «aveva fatto nello Ior», ha precisato l’alto funzionario di polizia, oggi in pensione, che ha anche tratteggiato un identikit della «bandaccia». «Il gruppo nasce come gang di rapinatori, ricettatori. Poi, man mano che crescono, si forma un gruppo con circa 200 affiliati non organici. Gli organici erano i testaccini e quelli della Magliana, l’uno contro l’altro per avere il controllo su tutta Roma».
I legami con il delitto Calvi
«Ma perché il gruppo della Magliana alla domanda sulla Orlandi sa molto poco? – ha proseguito D’Angelo – Perché ne sapeva di più il gruppo Testaccio che aveva i contatti maggiori, che aveva sofferto meno detenzioni, e Testaccio si era un po’ sottratto, questo è il motivo della morte di De Pedis. Io ero capo della sezione Omicidi quando è stato ucciso». «Quindi – è la prosecuzione del racconto – il gruppo Testaccio era a sé stante, aveva contatti maggiori, investiva molto di più sui vari proventi. Nell’86 iniziammo la collaborazione con Sicilia che si pente e l’altro episodio che cercammo di chiarire è l’omicidio Calvi, perché noi abbiamo acceso un faro sullo Ior».
L’informativa e il faro sullo Ior
«Esiste una mia informativa di quegli anni, ’87 forse – ha puntualizzato D’Angelo – nella quale sostengo, secondo anche quanto riferito da Sicilia, che Calvi era stato narcotizzato e impiccato sotto il ponte dei Frati neri a Londra». Emergerebbe anche un ruolo di un altro esponente del crimine, Casillo Vincenzo, che «secondo me al 90% rese dichiarazioni molto attendibili: nasce come appartenente alla Nuova camorra organizzata, tradisce e passa nell’orbita di Cosa nostra, che a Roma in quel periodo voleva dire Pippo Calò».
Il filo che porta a Emanuela
«Quindi la storia di Calvi è chiaro che ha un mandante, lo scandalo ambrosiano, e da lì si risale al discorso dello Ior – è stata la valutazione conclusiva di D’Angelo -. Tutto venne mandato alla procura di Roma e alla fine è rimasto un omicidio non chiarito. Sapevamo, comunque, che il Banco ambrosiano era legato allo Ior che poi era passato sotto le mani del vescovo Paul Marcinkus». In quale contesto affaristico? «Lo Ior era in condizioni pietose – è stata l’ulteriore specificazione – c’era la famosa crisi delle offerte, occorreva aprire le porte anche ad altri capitali, flussi di denari freschi per garantire la sopravvivenza e lì si è infiltrata la criminalità organizzata anche se non ci sono prove certe. Anche la Magliana avrebbe investito una cospicua somma di denaro». Insomma, a giudizio del prefetto, esisterebbe un «filo rosso» tra il ramo testaccino della Magliana, lo Ior e l’affaire Orlandi. Scenario già battuto, che oggi si rilancia.
Rapporto di polizia giudiziaria
Nella prima parte della stessa seduta del 6 novembre 2025, al centro delle audizioni a Palazzo San Macuto c’era stato il dossier sulle ragazze scomparse a Roma tra il 1982 e il 1983 (qui l’anticipazione del Corriere), di cui hanno parlato l’avvocato Valter Biscotti e la criminologa Jessica Leone. Il legale ha spiegato di aver dato lo spunto per effettuare lo studio, svolto in collaborazione con «Neurointelligence», partendo da un rapporto di polizia giudiziaria di Roma in cui si faceva riferimento a 177 ragazze scomparse.
Quelle 16 ragazze scomparse
L’indagine «Attività tecnico-scientifica: valutazione scomparse Roma 1982-1983» è stata illustrata nei dettagli da Leone – che all’epoca se ne è occupata come collaboratrice scientifica di Neurointelligence – e che ha evidenziato un risultato «sorprendente»: «Sedici ragazze scomparse tra maggio e giugno del 1983 (mesi in cui sparirono, rispettivamente, Mirella e di Emanuela ndr); a maggio con un’età media di 15,9 anni, a giugno con età media 15,6 anni – ha affermato – Dall’incrocio dei dati sono 8 i casi tra maggio-giugno del 1983 che rientrano nel raggio di 5 km circa da Città del Vaticano; di queste ragazze si sa poco e niente» (nel grafico le 8 ragazze scomparse in quel periodo, in base al rapporto, nel centro di Roma).
Il giallo di Stefania P.
Leone ha aggiunto che da ulteriori ricerche fatte tramite «fonti aperte» sono emersi vecchi articoli di stampa su un «istituto che era già stato indagato – ha riferito – per minori che fuggivano e che venivano avvicinate e convinte a prostituirsi». Tra i casi esaminati quello di «una minore che si è allontanata e al momento non risulta rintracciata». Si tratterebbe di Stefania P., nativa di Foggia, allora 16enne, sparita dal Centro italiano difesa donna (Cidd, con sede in via Piave 80), il 20 giugno 1983, due giorni prima della scomparsa di Emanuela. Da quell’istituto, una sorta di casa-famiglia fondata da una nobildonna e legato ad ambienti di Chiesa, in quel periodo sparirono anche altre due minori, una delle quali, a quanto pare, morta non molto tempo dopo.
“Indagine da estendere“
L’avvocato Biscotti ha spiegato i motivi per cui lo studio è stato messo a disposizione della Commissione bicamerale d’inchiesta: «Noi a un certo punto ci siamo fermati perché non abbiamo alcun potere; il motivo per cui ci siamo rivolti alla Commissione è che può approfondire i profili di queste ultime ragazze, che sono scomparse tutte in uno stretto raggio geografico, per capire cosa sia successo; acquisendo i singoli fascicoli, sarebbe importante individuare un minimo elemento comune che può sussistere». «È vero che i casi più clamorosi sono quelli di Orlandi e Gregori, ma circoscrivere l’indagine a loro due potrebbe essere improduttivo – ha concluso Biscotti – mentre si può avere qualche elemento in più individuando altri casi per scoprire eventuali elementi comuni».
