Articolo tratto da Corsera (di Elvira Serra)
Il manager: «Schumi? Non sono mai andato a trovarlo, voglio ricordarlo com’era. Oggi guido solo in Kenya». L’amore: «Elisabetta Gregoraci è stata l’amore più grande, ma io e lei non saremo più una coppia»
Flavio, che bambino era?
«Non o ricordi particolari. Vivevo in un paese piccolissimo, Montaldo di Mondovì, e avevo l’impressione di essere stato un po’ sfortunato a nascere lì: non c’era niente, solo neve a catinelle».
I suoi genitori erano maestri.
«E io sono stato un loro alunno. Prima, seconda e terza elementare le ho fatte con mia madre, ed è andato tutto bene. Quarta e quinta con mio padre, e l’ultimo anno mi bocciò».
Che smacco!
«Credo che lo abbia fatto per dare il buon esempio. Facevo parte del gruppo dei discoli: arrivavamo tardi in classe, giocavamo quando non dovevamo, urlavamo, non ci presentavamo al catechismo. Cose così».
Il regalo più bello che è riuscito a fargli?
«Mia madre purtroppo è mancata quando avevo 43 anni. Penso che il regalo più grande per loro sia stata la mia indipendenza, raggiunta subito dopo il diploma da geometra: tra l’altro avevo recuperato la bocciatura di mio padre, facendo due anni in uno».
Davvero a 8 anni raccoglieva scommesse sul Giro d’Italia?
«Facevo un po’ il bookmaker. C’era un tale che andava a vedere alcune tappe. Da lì, mi chiamava nel bar del paese, perché nessuno aveva il telefono in casa, e mi avvisava sui distacchi. Con quelle dritte tornavo a scuola per far scommettere i miei compagni».
L’errore da cui ha imparato di più?
«Gli errori sono una costante: se fai, sbagli. Il segreto è correggere subito il tiro, quando te ne accorgi, senza insistere per orgoglio».
È per questo che ha sostituito il pilota dell’Alpine Jack Doohan con Franco Colapinto?
«È un esempio. Anche in passato avevo preso la decisione di mettere in macchina un giovanissimo Fernando Alonso, ai tempi test driver, al posto dell’esperto Jenson Button, il che mi scatenò contro l’ira della stampa inglese. Ma alla fine ho avuto ragione io. Un manager quando prende decisioni importanti è sempre solo. Dopodiché succede che gli altri si ricredano, come con Cova a Montecarlo».
Come andò?
«Quando ho aperto Cova Palais de la Plage tutti mi dicevano che sarebbe stato un errore perché avevamo già il brand in centro e uno avrebbe cannibalizzato l’altro. Invece sono andato per la mia strada, ho firmato il contratto su un foglio di carta, cosa che non faccio mai, e l’ho dato ai miei collaboratori. Dopodiché l’ho monitorato costantemente e se avessi trovato criticità avrei invertito subito la rotta».
Vive a Montecarlo da quasi 15 anni. Ha scelto Monaco perché non paga le tasse?
«Mah, io sono iscritto all’Aire da 45 anni. Per 15 ho vissuto stabilmente a New York, lavorando per Benetton, poi quando è iniziata la mia avventura in Formula 1 mi sono trasferito in Inghilterra e sono rimasto lì per altri 20. In Italia non ho un conto corrente dagli anni 80».
Monaco assomiglia a un paradiso fiscale.
«Tra i motivi per cui l’ho scelta c’è anche quello fiscale. Ma non vivo qui per non pagare le tasse, io qui ho creato business e per creare business scegli i Paesi che ti danno maggior protezione fiscale. Infatti siamo a Dubai, a Riad, in Spagna. E abbiamo investito anche in Italia. Mi sembra però la stessa storia di Sinner: anziché gioire di questo incredibile tennista italiano, c’è chi parla solo della sua residenza, dove peraltro vive davvero e si allena».
I soldi delle tasse sue e di Sinner potrebbero aiutare il welfare di tutti.
«L’Italia non mi ha mai aiutato, veda il caso di Force Blue, e non si merita che ci viva. Siamo un Paese di Gattopardi: vogliamo che cambi tutto perché rimanga tutto uguale».
Quando si è ammalato, però, è venuto a farsi curare in Italia.
«Perché abbiamo i medici più bravi del mondo. E comunque ho pagato tutto».
Ha citato lo yacht Force Blue, che le fu sequestrato e fu venduto all’asta durante la pandemia a 7 milioni, 12 in meno rispetto al valore reale. Le è dispiaciuto che lo abbia acquistato Ecclestone?
«Meglio un amico di un nemico. Bernie ha fatto un affare, lo conosceva, c’era salito tante volte con me. Io ho chiesto il risarcimento e vediamo come andrà. L’asta non doveva essere fatta due settimane prima della pronuncia della Cassazione che ci avrebbe assolti».
Chiudiamo con Montecarlo. Il Principe Alberto di Monaco l’ha appena nominata Goodwill Ambassador. Si è emozionato?
«Sì, lo ammetto. È stato il riconoscimento del mio lavoro: a Monaco ero partito con Cipriani e adesso abbiamo locali che danno lavoro a quasi 200 persone. Per me è stata una sorpresa anche perché la gratitudine è rara. In Sardegna, per dire, il Billionaire ha dato lavoro a tante persone, è diventato un marchio conosciuto in tutto il mondo che ha creato un indotto positivo: per la Sardegna era come il Vaticano per Roma, non potevi non andarci».
Mica avrà venduto il Billionaire a Leonardo Del Vecchio per ingratitudine?
«Intanto ho venduto i muri e non il marchio, che resta mio e continua a esserci a Sankt Moritz e a Dubai. In generale, però, penso che il mio grande amore per la Sardegna non sia stato corrisposto».
Come è possibile?
«Colpa dei radical chic e dei politici, perché con i sardi ho sempre avuto ottimi rapporti. Durante l’alluvione del 2004 avevo messo a disposizione degli sfollati il Billionaire Village. E avevo fatto arrivare il pecorino dei pastori in rivolta da Eataly e sulle navi da crociera. Il problema sono quelli che vogliono che la Sardegna rimanga così com’è: possibile che ci siano pochissimi collegamenti con la penisola? È più facile andare a Dubai che a Olbia».
La vendita del Gruppo Twiga a LMDV Hospitality Group è stata valutata da alcuni 9 milioni di euro, da altri 50. Qual è la cifra esatta?
«Guardi… Né l’una né l’altra, evidentemente…».
Come mai ha scelto Del Vecchio?
«Perché il suo gruppo è molto forte finanziariamente, e mi garantiva l’occupazione di tutti i ragazzi che già avevamo. Va detto che ho deciso di vendere in concomitanza con il mio rientro in Formula 1».
Chi è il più grande pilota di sempre?
«Di sempre non lo so, perché abbiamo avuto Schumacher, Senna, Alonso… Adesso il numero 1 è sicuramente Max Verstappen».
Lei chi vorrebbe nell’Alpine?
«Due Verstappen, perché ho due auto».
È mai andato a trovare Schumacher?
«No. Se chiudo gli occhi lo rivedo sorridente dopo una vittoria, e preferisco ricordarlo così piuttosto che disteso su un letto. Con Corinna però ci sentiamo spesso».
Lei ha vinto 7 titoli. Quale le ha dato più soddisfazione?
«Il primo con Schumacher, nel 1994. Avevamo la Federazione contro. Ferrari e McLaren non erano contente di farsi battere da un ragazzino di 19 anni e da un team la cui proprietà faceva t-shirt, per non parlare di me, un capellone abbronzato e con i capelli lunghi che non era ingegnere. Non ero nemmeno un appassionato, avevo visto il primo GP in Australia quando mi ci aveva portato Benetton».
Sente mai Piquet?
«No, non mi interessa. Non lo sentivo neanche quando guidava con me».
Disse che a Singapore gli aveva chiesto lei di andare a sbattere per favorire Alonso.
«Io e lui non ci siamo mai sentiti e infatti il Tribunale francese ha annullato la radiazione disposta dalla Fia e ha chiesto per me un rimborso simbolico. Guarda caso il presidente che mi aveva radiato, Mosley, è lo stesso che aveva squalificato Schumacher. Quando ho lasciato ero stanco: avevo vinto tutto, trovato piloti, non era più un business in cui mettere il cuore, ma un lavoro come un altro, e così io non rendo. E poi stava per arrivare mio figlio Falco, volevo stare vicino a mia moglie».
Elisabetta Gregoraci. Di recente ha raccontato a Giovanna Cavalli sul «Corriere» che quando lei dormiva le prendeva il dito per sbloccare il cellulare e controllarlo.
«Ma quando io dormo possono pure operarmi a cuore aperto e non sento niente! Lei è la madre di Falco, la cosa più importante che ho. Siamo stati bravi a mettere lui al primo posto, quando ci siamo lasciati: non saremo più una coppia, ma non smetteremo di essere i suoi genitori e di esserci l’uno per l’altra».
Non teme che a Falco manchi la sua fame?
«Sicuramente quella fame non potrà mai averla. Ora sta facendo la Boarding School in Svizzera: questo lo renderà più preparato di me ad affrontare il futuro».
Lo ha viziato?
«È molto difficile non viziarlo. L’importante è che a scuola vada bene. Parla 4 lingue, lo tengo al corrente di quello che succede nelle mie aziende, e a lui piace molto».
Anche la Formula 1?
«No, la Formula 1 no. A lui piace quello che è collegato al Food and Beverage. In uno qualunque dei nostri ristoranti conosce il nome di tutti i ragazzi. Anche in Kenya è così».
Cosa si augura per lui?
«È banale, ma gli auguro di avere la salute e di essere felice. Come imprenditore gli auguro di creare tanti posti di lavoro, perché il vero fallimento è dover licenziare. Ma se si rendesse conto di non volere troppa pressione addosso e di desiderare una vita normale, vorrei solo che trovasse il modo di essere felice. Non è obbligato a fare quello che faccio io».
Qual è la paghetta di Falco?
«Mi sembra 500 euro al mese».
Crazy Pizza è il suo marchio in maggior espansione: il piano è di arrivare a 50, dagli attuali 30 locali. Qual è la sua pizza preferita?
«La Margherita, io sono normale».
Esiste la Margherita da Crazy Pizza?
«Sì, certo. Costa 18 euro, con la mozzarella di bufala. Quando protestano per i miei prezzi, per me è tutta pubblicità. A Napoli le pizze hanno un costo, ma quando i napoletani aprono una pizzeria a Milano adeguano i prezzi al costo degli affitti e della materia prima che trovi lì. E comunque le mie non sono pizzerie, io vendo esperienze».
La diverte di più l’imitazione di Crozza o quella di Panariello?
«Di Crozza, perché è più recente. Con i social è facile far girare una cosa, ma se gira vuol dire che al pubblico piace, quindi va bene».
Le fa paura il tempo che passa?
«Sì, certo. Credo che faccia paura a tutti. Vorrei esserci il più a lungo possibile per fare ancora da scuola guida a Falco. Il dramma del tempo che passa è che noi non ce ne accorgiamo, ma ce ne rendiamo conto quando vediamo gli altri, che non invecchiano bene».
È per questo che ha fatto un lifting?
«Non ho fatto il lifting, magari lo farò tra un paio d’anni. Ma non mi vergogno di dire che dieci anni fa ho fatto un intervento per eliminare il doppio mento».
Di quale successo è più orgoglioso?
«Se riesci a vincere 7 Mondiali in Formula 1 vuol dire che sei proprio bravo. Dopo la vittoria del primo rimasi sei minuti da solo nel motorhome mentre fuori i giornalisti aspettavano, tutti urlavano, e io mi ripetevo: cazzo, hai vinto il Mondiale di Formula 1…».
L’amore più grande della sua vita?
«Sicuramente Elisabetta Gregoraci. Ma ho avuto altre relazioni importanti. Una con Heidi Klum, dalla quale ho avuto una figlia, Leni, che vedo spesso: lei e Falco si vogliono bene».
Ci fu anche Naomi Campbell.
«Una relazione molto chiacchierata. Ci vogliamo bene e siamo sempre in contatto».
Grazie a lei conobbe Nelson Mandela.
«Era una sorta di padre putativo, per lei. La prima volta che andammo a trovarlo in Sudafrica ci aspettava seduto su una di quelle sedie di plastica delle gelaterie e quando si alzò per salutarci mi colpirono i suoi occhi azzurri. Ti metteva subito a tuo agio. Con la Formula 1 organizzammo una importante raccolta fondi in Spagna: Fashion for Relief. Tra le persone che ho conosciuto è quella che mi ha colpito di più».
È stato sposato anche con Nina Stevens e Marcy Schlobohm.
«Con Nina avremmo dovuto capire che non eravamo fatti l’uno per l’altra. Con Mercy fu un gioco, non credo che quel matrimonio alle Isole Vergini sia mai stato registrato».
A chi è più grato?
«A Luciano Benetton. Lo considero un po’ la mia famiglia. Senza di lui non dico che sarei rimasto nel paesello, ma di sicuro avrei fatto altro. Devo dire grazie anche a Stefano Domenicali, che mi ha permesso di ritornare in Formula 1: è un manager straordinario che sento tutti i giorni, da lui ho sempre da imparare e spero di restituire qualcosa anche io».
Si pente di qualcosa?
«No: è servito tutto a scrivere la mia storia».
Nemmeno di quella truffa per la quale a 23 anni fu condannato in contumacia?
«Ma no, e comunque ci fu l’amnistia. E siccome volli rimborsare tutti i truffati, ottenni anche la riabilitazione dal Tribunale di Torino. Se fosse stata una cosa grave, le pare che Benetton avrebbe investito su di me?».
Con Daniela Santanchè avete litigato?
«Litigare è una parola grossa, diciamo che non ho più il rapporto di 10 anni fa».
Quante carte di credito ha?
«Non ne ho idea».
Ha la patente?
«Sì, ma guido solo in Kenya».
La critica più ingiusta?
«Io sono un muro di gomma, penso sempre che chi mi critica è più sfigato di me. I soldi ti danno una grande libertà, non tutti l’hanno».
Segue i Tg italiani?
«Sì e cambio canale, perché sia nei tg che nei quotidiani le prime 5 pagine sono solo di litigi, nessuno che pensa ai giovani. Siamo un Paese meraviglioso con grande potenziale, ma senza una politica all’altezza».
Qual è la sua madeleine?
«Non saprei… Sono quasi vegetariano, amo i minestroni».
Latte e castagne?
«Da bambino ne ho mangiato così tanto a colazione, perché riempiva la pancia e faceva passare la fame, che per il momento credo basti. Quegli anni preferisco non ricordarli».
