Articolo tratto dal Web
«L’avvocato Bertolino ci parlava delle indagini grazie al suo legame con il magistrato Padalino, trovammo le microspie in casa mia». Esordisce così il superpentito Vincenzo Pasquino.
La ‘ndrangheta poteva contare — riferisce lo stesso 34enne, collaboratore di giustizia — su fughe di notizie rispetto a indagini in corso e, in alcuni casi, sulla protezione dei servizi segreti: «Con il mio gruppo avevamo avvocati che ci comunicavano notizie provenienti dalla magistratura, in particolare l’avvocato Staiano, ma soprattutto l’avvocato Bertolino del foro di Torino (scomparso nel 2019, ndr), che proprio ci dava le notizie delle indagini»; e «molti precedenti collaboratori non hanno toccato queste persone, perché sapevano che avevano dietro i servizi segreti».
27 pagine di verbale
È il 24 maggio 2024 quando Pasquino riempie 27 pagine di verbale, parlando davanti ai pubblici ministeri della Dda Francesco Pelosi e Mario Bendoni, al collega della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo e ai carabinieri del Ros e del nucleo investigativo di Torino. Perché aveva cominciato a collaborare — «ho iniziato a novembre 2023, quando ero ancora detenuto in Brasile» – è presto detto: «Quando mi è arrivato il mandato di cattura, nuovo, da Reggio Calabria, mi sono sentito abbandonato dalla mia famiglia, faccio riferimento ai Nirta, Galace, Vitale. Nessuno è venuto a trovarmi, cioè si è fatto vivo, nei tre anni di detenzione».
Pasquino: Mi vogliono uccidere. Il pentimento ha una conseguenza:
«Sicuramente con il percorso che ho iniziato, queste famiglie vorranno ancora di più uccidermi. Noi avevamo rapporti anche con la mafia brasiliana che, per mia esperienza, uccide per 10 reales (un euro): quindi, queste famiglie possono assoldare chiunque per uccidere me o uno a me vicino». Già prima erano emerse dichiarazioni di Pasquino, ma sempre con verbali in parte coperti da omissis, al contrario dei due depositati ora, agli atti dell’inchiesta del Gico della guardia di finanza e coordinata dai pm Sanini, Bendoni e Paolo Toso, che vede al centro la figura di Francesco D’Onofrio e indaga sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta tra Moncalieri e Carmagnola.
L’avvocato e il pm
Detto che, come sempre per i pentiti, le parole di Pasquino dovranno superare il vaglio dei riscontri e del dibattimento, resta la sua caratura criminale, da ex broker del narcotraffico internazionale, inserito nella locale di ‘ndrangheta di Volpiano. «Quello però che proprio ci dava le notizie — dice ancora Pasquino, dopo aver parlato di legali di fori calabresi — era l’avvocato Bertolino, perché aveva il rapporto stretto con il giudice Padalino (all’epoca pm, ndr)… Anche le microspie a casa le trovai grazie a lui».
Padalino, ora a Vercelli come giudice, era stato coinvolto in un’inchiesta che ipotizzava un giro di favori in Procura, ma era stato assolto in via definitiva, a Milano; mentre sulla sanzione disciplinare del Csm pende ricorso in Cassazione. «Sono fatti che hanno dato luogo a indagini che non hanno dato alcun esito, non essendovi alcun elemento di prova raccolto in tal senso», commenta Padalino. E ancora: «Mi viene da chiedere come mai oggi la solita manina insuffla queste falsità? Direi che qualcuno dovrebbe vergognarsi di azioni del genere. Non è bastato quanto mi hanno fatto?».
Racconta ancora Pasquino: «Patrick Assisi (arrestato in Brasile, ndr) mi aveva detto che i platioti avevano rapporti con Delfino, inteso l’appartenente all’Arma (l’ex generale morto nel 2014, ndr), che gli ha lasciato i rapporti con i servizi. E inoltre anche tramite l’avvocato di Locri so che aveva rapporti con i servizi».