Trentanovesimo appuntamento con i proverbi di Nonno Saverio.
“On trovi furnu caddu, Sabato Santu”.
“Non trovi un forno… aperto, il Sabato Santo”.
Si dice di persona così distratta, che neppure riesce a trovare qualcosa che ha sotto gli occhi. E il perché è presto detto.
Nei tempi passati, a Catanzaro, il sabato di Pasqua, dopo il “divieto” per i cattolici di mangiare carne, c’era l’abitudine di consumare tra le 11 e le 12 di mattina il piatto morzeddu e stigghiola (intestino tenue, vureddu lisciu, di agnello – ma anche capretto o vitello – lavato in acqua e sale, condito con prezzemolo, con o senza cipolla, infilzato in uno spiedino, o arrotolato attorno a un cipollotto, e cucinato direttamente sulla brace).
Si producevano quindi molte pitte, utili per consumare il classico morzello, con di conseguenza un… superlavoro. Ma soprattutto, non essendoci i fornì nelle maggior parte delle case, le massaie della città si recavano nel forno più vicino per cucinare i classici dolci pasquali (i cuzzupi su tutti) e a “tiana” (agnello, carciofi, patate e piselli).