Emanuela OrlandiEmanuela Orlandi

L’ex commissario capo della Polizia di Stato Lidano Marchionne: l’organizzazione nella quale era incappata Emanuela non era una organizzazione di sprovveduti, ma una organizzazione ben strutturata e che aveva determinati scopi

Nuovi elementi sul caso di Emanuela Orlandi, la ragazza di 15 anni scomparsa a Roma il 22 giugno 1983 mentre rientrava a casa dopo le lezioni di musica. Lidano Marchionne, all’epoca dei fatti commissario capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Digos della Capitale, è stato ascoltato in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Rispondendo a chi gli chiedeva la sua opinione sulla tipologia del gruppo legato alla scomparsa della cittadina vaticana ha detto: «Indubbiamente io penso che – quale possa essere il gruppo – era ben strutturato: non era un gruppo di rubagalline o di ragazzi che potevano aver messo su’ qualcosa di più grande di loro che poi gli era sfuggito di mano».

La mafia romana

Quanto alla criminalità romana dell’epoca, secondo l’ex appartenente alla Digos, «potrebbe aver avuto un ruolo». «Non c’è nulla di specifico che mi faccia pensare alla malavita organizzata romana» ha continuato Marchionne precisando però che «la mia sensazione è che la ragazza sia caduta in una trappola dalla quale non è riuscita a venirne fuori, chi l’ha tesa non agiva per una situazione estemporanea».

La trappola

«Mi pare che la ragazza avesse avuto un appuntamento con una persona che si era proposta per farle fare un lavoro di presentatrice di prodotti cosmetici e la casa ha sempre smentito di ricorrere a simili attività – ha proseguito – Può essere che per ingenuità la ragazza abbia aderito a questa proposta e invece di fare questa presentazione, chissà dove l’hanno portata».

Replicando a un’altra domanda, l’ex appartenente alla Digos ha precisato: «Io non ho detto che c’è stato un coinvolgimento della mafia romana, dico che l’organizzazione nella quale era incappata Emanuela non era una organizzazione di sprovveduti, ma una organizzazione ben strutturata e che aveva determinati scopi che potevano essere – siamo a livello di ipotesi – anche quello di irretire giovani ragazze per destinarle a cose che non vogliamo pensare».

Ali Agca

«Non si ebbe mai prova dell’esistenza in vita della ragazza e lo stesso Ali Agca, all’epoca detenuto in esecuzione pena, in qualche modo si dissociò da questa richiesta di sua liberazione. Si arrivò alla scadenza dell’ultimatum e non furono avviate iniziative per la liberazione concreta di Ali Agca e non fu acquisito alcun elemento che potesse sostenere che la ragazza fosse viva», ha detto ancora Marchionne. L’ex Digos ha spiegato di essersi «occupato della vicenda Orlandi marginalmente in quanto all’epoca facevo servizio alla Digos e mi ero occupato delle vicende connesse all’attentato al pontefice: quando venne tirata in ballo la richiesta della liberazione di Ali Agca – come scambio per il rilascio della ragazza – fummo coinvolti anche noi della Digos». «Mi colpì il fatto che l’intervento di un’associazione vicina all’attentatore al Papa e che ne chiedeva la liberazione – ha osservato – venne fatto dopo che il Papa, nella recita dell’Angelus, aveva fatto cenno alla scomparsa della ragazza e stimolato la buona volontà di coloro che avevano responsabilità nella gestione di quel caso».

La telefonata

«Fino a quel momento i contatti erano stimolati dalla diffusione dei manifesti fatti dalla famiglia, erano passati direttamente sui familiari di Orlandi ai telefoni che avevano indicato come recapito e i messaggi erano sostanzialmente dettati dall’intento di tranquillizzare la famiglia – ha proseguito – tendevano a dare credito all’ipotesi che si fosse in presenza di un allontanamento volontario della ragazza. Poi, dopo l’intervento del Papa all’Angelus, ci fu una telefonata di persona che richiamo’ nel contenuto queste telefonate che erano state fatte nella prima fase» e che «nello stesso tempo calo’ la richiesta di liberazione di Ali Agca in cambio del rilascio di Emanuela Orlandi». «Si arrivò fino all’ultimatum che avevano fissato», ha proseguito l’ex appartenente alla Digos aggiungendo che «questa trattativa» non andò «in porto perché non ci fu mai prova certa dell’esistenza in vita della ragazza».

Ex Digos: Pista turca? Versioni poco credibili

«Depistaggio significa che chi proponeva queste ipotesi investigative avesse lo scopo di distogliere da un percorso a lui noto: non posso dire di avere avuto mai questa consapevolezza». Lo ha affermato Lidano Marchionne, all’epoca dei fatti commissario capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Digos di Roma, ascoltato in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori rispondendo alla domanda se all’epoca si avesse avuto o meno la sensazione che la pista turca rispetto al caso di Emanuela fosse un depistaggio.

Tuttavia l’ex appartenente alla Digos ha parlato di «versioni spesso poco credibili, determinate da collage mettendo insieme vicende per molti aspetti note». «Ricorreva la possibile ipotesi – che toglieva credibilità – della ragazza che, ancora in vita, convivesse con uno dei suoi sequestratori», ha continuato Marchionne parlando di «ipotesi secondo me fantasiose».

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