Riceviamo e pubblichiamo

Dopo aver letto la storia della mamma a cui non è stata riconosciuta la produttività perché ha avuto l’“ardire” di restare accanto al figlio durante un ricovero, ho deciso di raccontare anche la mia.

Chi scrive è una donna medico, da quasi 35 anni in servizio presso l’ASP di Catanzaro, in un settore dove reperire personale medico è diventato quasi impossibile.

Un’area di emergenza dove si fa fatica ogni giorno a coprire i turni, dove la carenza di colleghi è strutturale e cronica, e dove la parola “dedizione” ha assunto ormai da tempo un significato che sconfina nel martirio.

Eppure, tutto questo pare non contare nulla. L’accordo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali ANAAO ASSOMED, FASSID, CISL Medici, CGIL Medici e UIL FP rappresenta, per chi come me ha continuato a svolgere il proprio lavoro con abnegazione e sacrificio, uno schiaffo in faccia.

Un colpo basso, di quelli che fanno più male perché arrivano non dal nemico, ma da chi avrebbe dovuto tutelarci.

Mentre a qualche fortunato collega è stata garantita una produttività che arriva fino a 18.000 euro, io, medico d’emergenza da decenni, non ho ricevuto nulla.

Nulla, nonostante l’impegno, la presenza, il sacrificio. Nulla, perché secondo l’azienda io “non ho prodotto abbastanza”.

Lavoro in questa azienda da quasi 35 anni, quindi sono ormai vicina alla pensione. Purtroppo, a causa di un problema fisico che ho avuto circa un anno fa, mi ritrovo ancora oggi a dover affrontare seri problemi alla schiena, che mi rendono molto difficoltosi anche gli spostamenti in macchina su lunghe distanze.

Ho sempre lavorato nell’area dell’emergenza e ho continuato a farlo, coprendo anche doppi turni: Invece che il solito orario 8-14, svolgevo nella stessa giornata i turni 8-14 e 14-20 con doppia timbratura, quindi due turni nello stesso giorno. Inoltre, sottolineo che in busta paga venivo pagata x 26 presenze al mese, ma per la produttività i turni si dimezzano magicamente a 13.

Ebbene, l’azienda ha pensato bene di ringraziarmi escludendomi dal riconoscimento della produttività, perché secondo loro non avrei raggiunto il numero di giorni di presenza necessari per maturare il premio, in quanto la doppia presenza viene considerata come singola.

Il paradosso? Ho lavorato praticamente 365 giorni all’anno, e come riconoscimento mi si dice che non ho prodotto abbastanza.
Qui da noi, all’ASP di Catanzaro, la mattina si svegliano e decidono chi deve ricevere la produttività e chi no, inventandosi formule e meccanismi che ricordano il “gioco delle tre carte”.

E a rimetterci siamo sempre noi: quelli che lavorano, quelli che c’erano durante la pandemia, quelli che venivano chiamati “angeli” e che oggi vengono trattati come zavorra da dimenticare.

Il risultato? Siamo stati puniti.
Un tavolo di trattativa sindacale, senza chiedere il parere ai colleghi, ha deciso che chi non ha raggiunto almeno 151 giorni di presenza annui viene escluso dal premio di produttività.

Ma allora chiedo: chi ha lavorato al posto mio? Perché se quelle ore risultano lavorate, o qualcuno le ha fatte al posto mio (e allora voglio sapere chi) o, peggio ancora, sono state contabilizzate senza che nessuno le abbia davvero fatte.

E questa sarebbe la valorizzazione del lavoro? Questo è il modo in cui si premia chi ha retto interi reparti mentre tutto il mondo si fermava?

Scusate, ma io non ci sto. Non posso accettare che il mio lavoro venga cancellato con un algoritmo o con una soglia numerica decisa in qualche stanza chiusa.

Non posso accettare che l’impegno venga ignorato, mentre ad altri si regalano premi di produttività a cinque cifre che sfiorano anche i 20 mila euro.

Non posso, e non voglio restare in silenzio.
E se questo è il trattamento che il servizio sanitario pubblico riserva ai suoi medici, non ci si può più meravigliare se poi i medici scappano verso il privato.

Perché nel privato almeno la professionalità non viene calpestata, e il lavoro svolto non viene trasformato in colpa.

Anche perché — e qui sta il punto più amaro — i sindacati che avrebbero dovuto tutelarci, non lo fanno.

Anzi, sottoscrivono accordi che avallano e legittimano queste ingiustizie.

Non parlo solo per me.

Parlo per tutte e tutti quelli che hanno messo la propria salute e la propria vita al servizio del sistema sanitario, e che oggi vengono lasciati indietro con la freddezza di una firma in calce a un verbale sindacale.

Chi ha responsabilità, ora, abbia almeno il coraggio di guardare in faccia chi ha tradito. Perché è proprio questo che sento: di essere stata tradita.

Una Medico dell’ASP di Catanzaro
(che ha sempre lavorato, anche quando non conveniva)

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