Catanzaro, sempre più la Città del Peccato. Quella dove ad esempio una persona onesta e lontana anni luce da certi… giri (e conventicole) poco chiari fatica a trovare persino un avvocato per una causa di lavoro sulla carta (stra)giusta. E invece chi della legge ha fatto, fa e farà, strame per biechi e torbidi interessi personali, trova mille prestanomi adoranti. E… accorrenti. Perché così è stato cresciuto e abituato. A pensare, cioè, che pecunia non olet. O “ole(a)t”, come invece dice, con licenza poetica, qualcuno che sta da tempo nelle stanze importanti della politica locale. Senza contare l’ebbrezza del potere, anche se nella fattispecie di natura criminale. Ma, ripetiamo, è proprio la famiglia d’origine che così ha insegnato. E la famiglia, si sa, è tutto. Sia quella di sangue che… d’onore! E poi, a queste cose, nessuno fa più caso ormai. Perché, nelle condizioni attuali e passata la paura della… mannaia gratteriana, in cima ai Tre Colli c’è un’aria da “liberi tutti”. E di: tutto è permesso! Il riciclaggio di denaro sporco, in primis, con strane operazioni a cui però, ribadiamo, nessuno bada. Considerato come, l’unica cosa che conta sia il conto. In banca, come ovvio. E palese o occulto che sia. Ed ecco allora un esercito di professionisti(?) pronto a qualunque cosa, pur di alzare un po’ di soldi. I tempi, del resto, sono quelli che sono. Grami!

L’immortale Alberto Sordi, che peraltro un film su una partita Catanzaro-Roma l’ha incentrato, in altre 2 grandi pellicole ha descritto senza saperlo il capoluogo calabrese di 40-50 anni dopo

Tempi grami, dicevamo. In cui “ognuno, a modo suo, cerca di arrangiarsi come può”, per dirla con l’Armando D’Ambosi (alias l’immortale Alberto Sordi) de In viaggiò con papà. E se già la si pensava così nel 1982 (anno d’uscita dello stesso grande film di Sordi con co-protagonista un certo Carlo Verdone), figuriamoci oggi. A 43 anni di distanza con tutta l’acqua passata sotto i ponti e il secondo boom economico italiano degli anni Ottanta morto e sepolto. In un periodo cioè in cui, non a Roma come nella pellicola, bensì nell’assai più periferica Catanzaro il piatto piange. Ed allora, sempre per citare Sordi, ma in versione Pietro Chiocca de Finché c’è guerra c’è speranza (1974): “Le guerre (o la “mafia”, aggiungiamo noi, ndr) non le fanno solo i fabbricanti d’armi e i commessi viaggiatori che le vendono (come me, ndr). Ma anche le persone come voi, le famiglie come la vostra. Che vogliono, vogliono e non si accontentano mai. Ma le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano, costano molto! E per procurarseli, qualcuno bisogna depredare (o certi reati bisogna commetterli, ndr), ecco perché si fanno le guerre!”.

Poco d’aggiungere dopo quanto detto. O forse no…, ancora un po’ di cose

Insomma, dopo quanto scritto, cos’altro aggiungere? Poco. O forse no…, ancora un po’ di cose. Come lo scenario di un capoluogo calabrese del primo quarto di secolo di Terzo Millennio in cui ci sono imprenditori, soci d’azienda e titolari di attività senza portafoglio; capi di associazioni (finte no profit) e conventicole varie di facciata; politici da centinaia, se non migliaia, di voti fino a poco tempo fa senza tutto questo consenso e “giornalisti” (poteva mancare la nostra categoria?) convertitisi da… sentinelle di Procura, quando serviva perché la paura faceva 90, a notisti politici sotto dettatura! E credeteci, quando vi diciamo (cari amici lettori) che sappiamo di cosa parliamo. Perché noi, con tutte le nostre difficoltà del caso, a queste porcherie non ci siamo (mai) prestati. Appunto, tanto per restare in tema di… prestiti. Perché il ruolo del giornalista compromesso Nanni Santamaria (l’attore Pino Colizzi de La Piovra) ci fa schifo. A qualunque guadagno! Perché pensiamo che tutto abbia un prezzo, ma non tutto sia in vendita.

Imprenditori e soci senza soldi, dicevamo, un po’ come i nani e le ballerine della… politica

Ma come detto in apertura di pezzo, c’è una caterva di… soci o addirittura… imprenditori che in uno dei territori socioeconomicamente più depressi d’Italia spuntano come i funghi alla bisogna. Tranne noi, gli ultimi… fessi, che però senza soldi nostri (che non abbiamo) d’impicci per procurarcene un mucchio non ne facciamo. E non importa, perché come diceva Nonno Saverio: “Chiddu chi non avvena in tant’anni avvena a nu minutu”. E allora la bolla può scoppiare in qualsiasi momento. E quando accadrà, nessuno potrà affermare di non sapere. Noi intanto (da poverelli) ci teniamo strettissima la nostra dignità. E la libertà. Ma non quella solo sbandierata e declamata che viceversa puzza (di un tanfo insopportabile) di compromesso e illegalità. Perché tanto a Catanzaro, tutti sanno tutto. E dunque è solo questione di tempo e ogni “volpe” finirà fatalmente in pellicceria. Ma nel frattempo imperano quanti portano nomi che fanno rima con… lavanderia! L’attività più gettonata e fiorente in città. Solo che si sa, ma non si dice. Ma noi che, grazie a Dio, non la facciamo, e nemmeno ci mangiamo su, lo diciamo. Eccome!

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