Quanto successo nel weekend in Calabria, tra Catanzaro e Cosenza (quasi sull’onda lunga del recente derby calcistico), ci ha fornito abbondante materiale per il 6. capitolo del nostro Romanzo criminale. Solo che stavolta il derby lo si è giocato sull’informazione. Quella libera, un’esigua e ormai quasi impalpabile minoranza, e l’altra. La stragrande maggioranza, cioè, totalmente asservita al potere che, invece di esserne cane da guardia come si dice nei Paesi anglosassoni, si comporta invece come un cane da riporto. Che scodinzola, applaude e sorride, al potente di turno. Tanto che, allo stato, chiunque faccia il nostro mestiere, e non si ponga a 90 gradi, viene considerato un eretico o, peggio, un pericoloso criminale. Da perseguire, addirittura. Perché non è tollerabile che uno tocchi certi fili senza… morire. Si può infatti imbrogliare, rubare, riciclare, intrallazzare con la mafia, ma guai a raccontare che lo si fa e soprattutto svelare chi lo fa. Ragion per cui, siamo giunti a un’amara verità, ovvero che proprio la verità è il più brutto dei crimini. Di natura eversiva e pericolosa. E quindi da combattere con ogni mezzo, anche per “educare” tutti.
La realtà di Cosenza
Inutile fuggire dalla realtà. A Cosenza, e questo non è un… romanzo ahinoi, è stato arrestato un giornalista. Ora, senza entrare nel merito e difendere a prescindere Carchidi perché sarebbe quantomeno superficiale, non si può negare che quanto scrive lui non lo scrive nessuno. Attenzione, però. Noi abbiamo spesso espresso a Gabriele, in privato come ovvio, il nostro scetticismo su certe sue letture del “panorama” catanzarese. Secondo noi palesemente e pesantemente alterate dall’influenza di personaggi della città, che nel passare notizie (anche vere e certificate) facevano solo il loro interesse. E fin qui ci può anche stare. Perché pure i magistrati imbastiscono talvolta persino super-inchieste, partendo dalle rivelazioni dei pentiti. Che non sono certo dei soggetti immacolati. Semmai il contrario. Ma resta il fatto che c’è un’enorme differenza (oltreché per mille altri motivi) tra un collaboratore di giustizia e una fonte giornalistica, scaltra nello sfruttare il lavoro di un cronista per colpire gli avversari. E trarne così enormi benefici personali, avendo da nascondere magagne peggiori di quelle riferite. O tacendo sulla propria partecipazione proprio in quelle magagne. Ecco allora che c’è il rischio di un informatore molto loquace sugli altri e muto su se stesso. Quasi una sorta di truffa, insomma.
La realtà di Catanzaro
Sulla scorta di quanto fin qui detto, però, resta il fatto che Iacchitè è nemico del potere. E svolge il suo dovere di informare su Cosenza, per la maggior parte, ma anche sulla Calabria intera. Ergo, dei meriti ce l’ha. E non sono pochi. Mentre inesistenti sono i meriti di quei giornali che ad esempio, in spregio a ogni deontologia, hanno collaboratori a libro paga di maggioranza e opposizione (dell’intero arco costituzionale più esattamente),, ufficiali e… ombra, alle loro dipendenze. Un fatto gravissimo! Almeno per come intendiamo noi questo mestieraccio, che facciamo da quasi un quarto di secolo. Tutto ciò è perfettamente lecito però (e questo va precisato a chiare lettere). Sebbene ribadiamo, per noi, eticamente inaccettabile. Ma fin qui, lo si ripete, restiamo su un certo piano. Che, quindi, non va affatto confuso con il livello (davvero pericoloso) del nostro romanzo. In cui si va purtroppo molto, molto, oltre. Si sconfina infatti nell’illegalità pura. Quella di organi di stampa, diciamo per… comodità, con finanziatori e fondi occulti. Solo che in una città socio-economicamente depressa, eppure piena di Paperoni, nessuno se ne fotte! Compreso chi qualche controllino dovrebbe doverosamente farlo. Non credete, andrebbe sempre effettuato?
Ma questi soldi da dove arrivano?
Ma è possibile che nessuno si chieda chi finanzi certi giornali, così come certe altre aziende attive in altri settori? Da dove vengono, in altre parole, i quattrini per sostenere un monte stipendi e spese per decine di migliaia di euro al mese? Soprattutto in un periodo in cui l’editoria, anche online, non gode certo di una salute di ferro e non naviga certo nell’oro. In un mercato… saturo, dove non è che ci siano tutti questi investitori con portafogli a mantice. Oltretutto intenti a sgomitare per entrare in un mercato parecchio… scivoloso. Dove, se si fanno le cose seriamente e coscienziosamente, ti fai una marea di nemici. Gente che ti dice: “Ma come, sostieni quelli lì? Che fanno informazione spazzatura, parlando male di tutti! Ma ti conviene?”. Ergo, i conti non tornano e non possono tornare. Perché c’è del marcio all’ombra del Cavatore. E quanto ce n’è!
Il metodo Dalla Chiesa
Il metodo del generale-prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa impegnato nel 1982 a Palermo negli appena cento giorni di lavoro in prefettura, da ex alto ufficiale dell’Arma, era il seguente. Convocazione dei più stretti collaboratori a cui chiedere, partendo dall’indagine su loro stessi in primis, “ditemi chi lavora in questo Ufficio. Com’è stato assunto. Chi sono i suoi parenti e amici. E soprattutto qual è il tenore di vita che ha, apparente ed effettivo. E se incongruo in rapporto a quanto guadagna ufficialmente, scoprite cosa c’è sotto”. A Catanzaro, invece, spuntano (ex) disoccupati che all’improvviso si (ri)scoprono professionisti e al contempo imprenditori. E tra squilli di tromba e addirittura annunci pubblici. Ma la nostra domanda è sempre la stessa: è tutto come lo si racconta? O, qui, il lecito e l’illecito o il legale e l’illegale si mescolano, senza che nessuno batta ciglio? E anzi si congratuli e sostenga… l’insostenibile? Perché questo è quanto più ci indigna e ci preoccupa. Alquanto!
Un ripasso su una certa materia, che qui è quanto mai utile. Ecco le caratteristiche delle società cosiddette “cartiere”.
Ecco le caratteristiche delle società cosiddette “cartiere”. Imprese che emettono fatture per operazioni finanziariamente inesistenti, consentendo ad aziende produttive di utilizzarle tanto a fini di evasione fiscale, indicando in bilancio costi inesistenti, quanto a fini di riciclaggio o per altri scopi illegali (anche di natura mafiosa). Sulla base delle informazioni disponibili per saperne di più si dovrebbe dunque sviluppare, utilizzando dati di bilancio, un indicatore sintetico che segnala la presenza di caratteristiche tipiche di una cartiera. Una prima verifica empirica della significatività dell’indicatore rileva che, a valori molto bassi dell’indicatore stesso, corrispondono più frequentemente società segnalate per frodi nelle fatturazioni e/o nell’Iva rispetto a quelle segnalate per altri fenomeni. L’indicatore può però essere uno strumento di supporto nell’effettuare un primo screening sulle società potenziali cartiere. Necessari rimangono comunque ulteriori approfondimenti finanziari, amministrativi e fiscali.