Riceviamo e pubblichiamo

Abbiamo appreso con soddisfazione della decisione assunta martedì dalla Corte d’appello di Catanzaro di rinviare l’udienza del processo “Rinascita-Scott”, da Catania a Catanzaro, nell’aula bunker di via Paglia.

Con pari soddisfazione avevamo registrato la decisione del Gup del processo “Recovery” di riportarlo definitivamente, da Catania, nelle sedi naturali, Cosenza (per il giudizio immediato) e Catanzaro (per la celebrazione dell’udienza preliminare).  

Come già era accaduto il 31 gennaio all’udienza preliminare “Recovery”, lunedì scorso, in occasione della manifestazione di protesta promossa dal Coordinamento delle Camere penali della Calabria e condivisa dall’intero collegio difensivo, è apparso chiaro a tutti quanto già i penalisti calabresi andavano denunciando da tempo: la scelta di delocalizzare i processi a Catania è inaccettabile e dannosa. Una mortificante quanto inutile compressione del diritto di difesa, immolato sull’altare della difesa sociale.

La realtà, infatti, ha superato l’immaginazione

Nel fare ingresso nell’aula bunker etnea ci si è resi tutti conto, con amaro stupore, delle precarie condizioni di agibilità della stessa, non diversa, per dimensioni, dalle analoghe aule presenti in terra di Calabria, ivi compresa quella di Via Paglia, ove il processo proseguirà il 19 febbraio.

In disparte la sovrapponibilità di posti a sedere, infatti, è emersa con evidenza l’inadeguatezza delle dotazioni strumentali (su 12 file di banchi, ben 7 sono risultate sprovviste di telefoni e 3 finanche di microfoni; nelle restanti file “attrezzate”, invece, appena un microfono ogni 4 persone, due per banco) e la carenza delle condizioni igienico-sanitarie.

Ci sarebbe da ridere, se non ci trovassimo al cospetto di processi simbolo della logica emergenziale e di fronte a centinai di imputati, presunti innocenti, inutilmente esposti a un sacrificio enorme del sacrosanto diritto di difesa. 

Oltre al danno, la beffa

Non è un caso, del resto, che il 3 febbraio lo stesso Pubblico Ministero d’udienza abbia riconosciuto le ragioni del dissenso avanzate dall’Avvocatura convenendo, anche in rapporto ai “costi-benefici”, sull’insensatezza della scelta.

Nelle condizioni date, in pari data abbiamo apprezzato l’interlocuzione con la Presidente della Corte d’Appello e l’attenzione riservata dal Collegio alle giuste osservazioni della difesa, dopo aver constatato insieme ai Presidenti delle Camere Penali presenti in aula e agli stessi rappresentanti dell’Ufficio di Procura le criticità sopra evidenziate. 

Ci sia consentito: siamo stati tristemente profetici! Ma, come Giovanni il Battista, abbiamo gridato nel deserto. Inascoltati. 

Se fossimo stati previamente consultati e coinvolti nei processi decisionali, probabilmente avremmo evitato questo triste epilogo. 

L’auspicio è che si lavori ora, insieme, per stabilizzare gli effetti del trasferimento a Catanzaro, dal momento che il ritorno a Catania, per come è ormai chiaro a tutti, sarebbe una scelta davvero priva di senso, risultando nel complesso l’aula etnea meno adeguata ed attrezzata rispetto a quella di Catanzaro. Esporre un’intera comunità (dati i numeri delle persone impegnate nel processo) a un nuovo esodo di massa, non solo sarebbe dannoso, irrazionale, incomprensibile e antieconomico in rapporto costi-benefici, ma esporrebbe la giurisdizione a una ulteriore e gratuita mortificazione dei diritti e delle garanzie delle parti processuali e di tutti gli attori del processo. 

In questa direzione, ribadiamo alla Corte e ai vertici istituzionali quanto già messo a verbale il 3 febbraio, vale a dire la disponibilità dell’Avvocatura a celebrare il processo nelle nostre aule con le dotazioni logistiche esistenti, di certo “migliori” di quelle catanesi.

Ma sia chiaro il nostro pensiero.  Sarebbe bastato elementare buonsenso per riconoscere che, nel permanente stato di eccezione il simulacro di processo per categorie pericolose – in cui è stata abolita la presenza dell’imputato, se ne sono dimezzate le garanzie e si sono prodotti numeri iperbolici che promettono giustizia simbolica e sommaria – bastano e soverchiano molte aule del nostro territorio attrezzate per i processi a distanza.

Anche meno dell’hangar lametino ingloriosamente sprofondato.

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