Privilegiati in una bolla o supereroi instancabili? Chi sono davvero i giudici e i magistrati italiani, peraltro attualmente in primo piano per così dire, anche per il delicato passaggio della legge costituzionale sulla separazione delle (loro) carriere al varo in Parlamento nella sua procedura… rafforzata e complessa? Ma chi sono? Giovani e meno giovani simili a tanti, sebbene come ovvio con responsabilità di gran lunga superiori alla stragrande maggioranza dei cittadini, o al contrario “eletti” appartenenti a un’intoccabile casta di aristoi (ottimati)? Ha provato a spiegarlo, attraverso le voci degli stessi togati in servizio da Rovigo a Catanzaro passando per Roma, la trasmissione di Rai 3 Dike – vita da magistrato.
E proprio da Catanzaro ecco la storia della giudice Esposito
Dal Tribunale Francesco Ferlaino, anche se per il programma inizialmente intervistata nell’aula bunker di Lamezia Terme voluta dall’ex procuratore della Repubblica della città dei Tre Colli (ora con la stessa funzione a Napoli) Nicola Gratteri per celebrarvi il maxiprocesso alla ‘ndrangheta Rinascita-Scott, ha parlato Chiara Esposito della sezione Gip-Gup. Napoletana verace con i corni sulla scrivania dell’ufficio, anche quello azzurro con stampato sopra il terzo scudetto del Calcio Napoli (ormai vecchio, si fa per dire), e abituata, quando può come ovvio, a farsi un giretto in macchina o a piedi per una città che l’ha accolta con una bufera di vento tanto da farsi detestare. E da indurla al desiderio, poco dopo frustrato, di scappar via. E come non bastasse pure pure la prima sentenza a cui è chiamata è in un certo senso storico ma… tremenda. Inerisce a un maxiprocesso di mafia e verte su 53 indagati, che hanno chiesto il rito abbreviato, Questo il suo impatto con la mostruosa e tentacolare ‘ndrangheta. Che la diretta interessata definisce “un sistema parallelo, con regole proprie. Che si muove in tanti ambiti (tutti criminali, come ovvio, ndr): dal narcotraffico, alle estorsioni, agli omicidi, fino a salire. E poi ‘battesimi’, doti, locali. Un fenomeno da studiare, insomma. Da me all’inizio percepito al pari solo di una marea di nomi”.
I simpatici aneddoti su famiglia e lavoro di Esposito
Forse per la solarità della sua città d’origine, Napoli come premesso, Esposito è un fiume in piena di ricordi. Simpaticissimi, per lo più. È il caso, ad esempio, di quando rivelò al padre di voler tentare la strada che l’avrebbe dovuta portare a dove poi è effettivamente approdata e si sentì rispondere secco: “Ce vo’ sule nu miracolo (non crediamo serva traduzione, ndr)”. Mentre un altro carino siparietto familiare, seppur stavolta a… distanza, svela che, non appena seppe di aver superato il concorso, telefonò subito alla sorella, in quel frangente in viaggio per sostenere un esame universitario, per comunicarle e condividere con lei la felicità della bella, anzi meravigliosa, notizia. Appresa la quale, la sorella scoppiò in lacrime nell’autobus in cui si trovava. Così facendo subito emergere la napoletanità di chi le si trovava vicino in virtù di un’immediata collettiva e corale, offerta di aiuto. E invece, il suo, era soltanto il pianto di chi prova un’immensa gioia. Pensate un po’. Ma passato il momento di incontenibile felicità e straripante emozione, anche familiare, accade che – racconta sempre il giudice Esposito, come ovvio – “in me è subentrata la paura con la febbre la sera prima di prestare il giuramento (di fedeltà alla Repubblica per assumere le funzioni, ndr). E il pensiero fisso di non essere all’altezza. Il panico, insomma”.
L’impatto con Catanzaro pessimo
Il primo ricordo di Catanzaro di Esposito è pessimo. La sera in cui arriva, infatti, è accolta da “un vento così forte da risultare anomalo perfino per questa città (non a caso definita con 3V, di cui una sta proprio per vento, ndr). Ecco allora che ho pensato menomale che domani me ne vado. E invece sono ancora qua: il Karma esiste! E il mio mi ha portata dove sono adesso”.
Il racconto (fiume) torna, per un attimo, sui fatti… tecnici della professione, sempre intrecciati alla vita personale
Il racconto (fiume) di Esposito torna, per un attimo, sui fatti… tecnici della sua delicata professione, sempre intrecciati alla vita personale. “A Catanzaro – spiega – c’è una situazione di emergenza nel Penale. Io volevo fare Penale e sapevo che qui c’era una bella palestra. E dunque sono venuta. Ma a casa vivono certi fatti: lavoro in aula bunker; udienze a cui si arriva in auto di servizio; amici con la scorta, con un po’ di impressione. I miei genitori, in primis. È la mia vita, però. E quella dei colleghi, anche se non nascondo che molte volte mi sono sentita prigioniera e sopraffatta dal peso. Ma ho trovato il mio equilibrio. Ho capito che stavo un po’ in un teatro. In cui bisogna recitare, dimostrando alle persone che ci sono di saper fare quanto stai facendo. Perché se lasci trasparire il dubbio (ride di gusto, ndr), può essere l’inizio della fine. E io ricordo bene – prosegue – cosa mi dicevano quando facevo il tirocinio (il vecchio uditorato, ndr): ‘È come un’onda anomala’. Che tu devi surfare. Noi, infatti, dobbiamo andare oltre quello che leggiamo nelle carte, perché dentro e dietro ci sono delle persone. Ma sono fortunata: a volte non si riesce a fare quello che si voleva mentre io lo faccio. E la mattina sono felice di andare a svolgere un lavoro per cui ho lottato tanto, riuscendo ad arrivare a svolgerlo”.
La chiusura con Esposito e il suo collega, calabrese doc, Capozza
A concludere il programma Tv, prima che ancora Esposito nella sigla di chiusura quando le fanno sapere che ha detto tutto, esclama divertita: “Quindi mi devo dedicare al Cinema perché dovevo parlare solo di lavoro ma non ci riesco”, in poche battute ecco anche il prezioso contributo di un calabrese doc. Il giudice crotonese Vincenzo Capozza. Nientemeno, presidente della Corte d’Assise d’appello di Roma e in un certo senso predestinato da figlio di avvocato. Ma che, invece di difendere gli imputati, ne decide le sorti (non da solo, come ovvio) in alcuni tra i più importanti processi italiani.
