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Riceviamo e pubblichiamo

Ieri abbiamo fatto accesso al carcere Ugo Caridi di Catanzaro, perché come penalisti crediamo che i principi e le garanzie costituzionali debbano valere per tutti e non possano trovare ostacoli nella loro applicazione neppure nei confronti di chi ha violato norme penali, macchiandosi talvolta di crimini gravissimi.

Erano presenti i rappresentanti delle istituzioni, il componente di giunta dell’unione delle Camere penali Valerio Murgano, il presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Leo Pallone e una delegazione della Camera penale di Catanzaro composta dal presidente Francesco Iacopino e dai membri Antonella Canino, Stefania Mantelli, Angela La Gamma, Vincenzo Galeota, Vincenzo Ranieri, Piero Mancuso, Antonio Mungo, Alessandra Coppolino, Adriano Anello, Francesco Ielapi, Francesca De Fine, Francesco Mancuso e Danila Scicchitano.

Durante la visita durata circa cinque ore siamo stati accompagnati dal direttore Patrizia Delfino, abbiamo incontrato il personale sanitario e gli educatori, e parlato con molte delle persone detenute.

Nonostante la dedizione del personale penitenziario, la struttura vecchia e inadeguata nella quale sono ristretti priva i detenuti non solo della libertà, ma anche della dignità: non si può e non si deve essere costretti a fare una sola doccia al giorno, quando fuori la temperatura supera i trenta gradi.

E in quelle celle, in 3 persone, dove – e questo accade nell’alta sicurezza – la porta resta chiusa per quasi l’intera giornata, la temperatura percepita è ben più alta e non c’è possibilità di ripararsi dal sole battente né consolazione nel bere qualcosa di fresco perché semplicemente non ci sono i frigoriferi.

Sono 3 anni che la direzione del carcere li chiede, li sollecita, ma i frigoriferi non arrivano e le persone detenute non possono acquistarli da soli perché l’impianto elettrico non è idoneo a supportarli.

Anche se la direttrice ci ha rappresentato che a breve dovrebbero iniziare i lavori di adeguamento dell’ala dell’alta sicurezza per ristrutturare i bagni e inserire le docce, non si può immaginare che in uno Stato democratico la dimensione pubblicistico-retributiva-sanzionatoria della sanzione penale detentiva, con il suo correlato fine general-preventivo, non sia ancora correttamente bilanciata con il rispetto della dimensione privatistico-intimistica di chi è sottoposto a regime carcerario.

Occorre un intervento, e oggi le persone detenute lo hanno chiesto anche ai rappresenti delle Istituzioni presenti, perché si facciano portatori di una richiesta di riforma normative e di urgenti interventi strutturali.

La nostra Costituzione non può tollerare l’idea totalizzante che l’esecuzione penale debba travolgere l’intera personalità umana della persona detenuta, lasciando sopravvivere soltanto quelle esigenze primarie che gli assicurano la mera sopravvivenza biologica con disprezzo pregiudiziale di ogni altra faccia del prisma dell’essere umano.

E ciò e tanto più urgente in un’epoca in cui assistiamo ad un continuo incremento di figure di reato e di circostanze aggravanti che ha condotto ad un impressionante allungamento del catalogo dei reati e ad uno smodato aumento delle pene detentive.

La pena dovrebbe rieducare e risocializzare le persone che in ragione del contesto socioculturale in cui sono cresciute o per le vicissitudini della vita hanno commesso degli errori, ma oggi il carcere sembra solo l’imposizione di una pena corporale che va oltre le esigenze – finalità retributive.

La direzione del carcere ha smentito il dato in relazione ai tentati suicidi, nondimeno sono state molte anche le criticità segnalate in relazione all’assistenza sanitaria.

Vivere la detenzione con una patologia non è semplice, e la mancanza di un’assistenza continuativa o adeguata può rendere tutto ancora più complesso, così come gestire malati psichiatrici che non dovrebbero trovarsi in carcere.

Anche la visita di quest’anno ci ha consentito di aprire un dialogo con la Direzione, di discutere insieme quelle criticità rilevate durante la visita per tentare, laddove possibile, di intervenire subito, come ad esempio invertire le ore d’aria oggi previste dalle ore 13 alle 15 in un cortile a picco sotto al sole, con le ore di socialità che si svolgono dalle 16 alle 18, questo consentirebbe alle persone detenute di non dover rinunciare all’aria per l’eccessivo caldo.

Nei prossimi giorni sarà redatta una relazione dettagliata che trasmetteremo anche alla direzione segnalando nel dettaglio tutto quanto abbiamo potuto rilevare per averlo visto o per averne parlato con le persone detenute, e ci auguriamo che questa relazione possa avere anche la funzione di sensibilizzare le Istituzioni e la società civile nei confronti di chi seppure da reo soffre una condizione che spesso è inumana.

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