di Felice Foresta*
*Proteggiamo la nostra vita. Ché non c’è cosa più bella.*
Oggi ho tre anni, sono nato di nuovo il 4 dicembre 2022.
La vita si riannoda. Avvolge e si riavvolge. Lascia briciole sulla strada, tu le vedi e le metti insieme.
Perché la vita è come il gioco dell’oca. Tante caselle su cui cammini, passi, raccogli e ricordi. Strada e ricordi stretti in una morsa, avvinghiati sugli affetti perduti, legati in un vortice.
La notte del 4 dicembre di tre anni fa, però, quel vortice è stato d’acqua, fango, pietre, detriti. E la strada era un selciato diverso. Paura di non farcela.
Sì paura di morire.
Sì, la notte del 4 dicembre di tre anni fa, ho davvero avuto paura di morire.Tra i ricordi di una vita. Dopo un pomeriggio a Cotronei, un paese, tra i tanti, in cui da sempre ha preso dimora un pezzo del mio cuore.
A Cotronei, ci erano nati mio padre e i suoi fratelli, ci era nata mia nonna, la mia bisnonna.
Un legame difficile da descrivere. Un turbinio di stati d’animo e commozione per ogni camino che mi si para davanti.
Cotronei, la presentazione di un libro, uno scrigno di montagna e sogni che gli amici dell’associazione Il Barattolo Ecotronei hanno tirato su con l‘ostinazione degli eroi senza nome.
Il dopo a Cotronei era stato nella straordinaria normalità che solo la gente di paese sa donarti, condividendo calore, il fuoco, il pane e l’anima.
Fuori piove. Forte. Magari più forte del solito. Riprendo l’auto sotto l’acqua.
Nessun problema sino a Crotone. Da qui a Sellia Marina, nemmeno l’ombra di una goccia.
A Sellia Marina inizia il mio calvario. Acqua, tantissima acqua. Solo acqua. Dal cielo, da giù, dai lati. Sino al bivio per Catanzaro. Da lì l’acqua si fa inferno.
Una fiumara contro.
Il senso d’impotenza, il terrore, la sospensione dalla realtà e l’inconsapevolezza.
Ma è vero quello che sto vivendo?
Impiego più due ore per fare un tragitto che, solitamente, si fa in venti minuti.
Passo in rassegna il mio ieri. Mi conforta solo l’idea di essere solo. Con un altro al mio fianco, avrebbe dovuto essere l’ultimo mio figlio, sarei stato ostaggio dell’irrazionale.
Penso a mia nonna lasciata davanti al braciere dell’infanzia.
Penso a mio padre, la cui mano mi era parso di sfiorare a Cotronei.
Penso a mia madre che, un giorno di dicembre di 7 anni anni fa, lo aveva seguito. Perché un padre e un madre devono stare sempre insieme, anche nella stanza dell’invisibile.
Penso a miei figli. Ed è un pensiero che strozza. Una lacrima che ti riga gli occhiali. Un pugno sulla bocca dello stomaco.
Quando hai paura di morire, e la notte del 4 dicembre di tre anni fa per me è stata la prima volta, l’unica persona a cui non pensi sei tu.
Una guerra impari con te stesso, e tu hai già perso.
Vincono le tue mancanze, i tuoi tanti perché, i cammini lasciati in sospeso.
Grazie al cielo è andata bene.
Oggi, lo posso raccontare. La notte del 4 dicembre di tre anni fa, ho fatto fatica a prendere sonno.
La notte del 4 dicembre di tre anni fa, ho creduto davvero di morire. La notte del 4 dicembre di tre anni fa, ho capito cosa voglia dire vivere. Nonostante i dolori, le buche, le cadute, i venti avversi, le mancanze, le amicizie tradite, i fallimenti, le ostilità sul lavoro, gli insuccessi e i vorrei lasciati a metà.
Vivere.
Il resto, i soldi, la carriera, la macchina nuova, il vestito firmato, la causa vinta o persa, la luminarie a Natale, a Capodanno che fai? Noi andiamo alle Hawaii, e tu non dirmi che resti a casa!
Tutto è un non senso.
Quando hai paura di morire, pensi solo a vivere. A quanto vorresti vivere, a quanto vorresti ancora vivere.
Vivere è una famiglia, un amico, una mano tesa a chi ha bisogno, un pezzo di pane con l’olio che è più buono di una cena da Cracco, una carezza a un cane bastonato, il racconto di un vecchio, una contrarietà che superi, una foglia che non calpesti, il profumo d’autunno, la risacca di settembre, una dormita sulla schiena della Sila.
Vivere è un’altra cosa.
Proteggiamo la nostra vita. Ché non c’è cosa più bella.
La chiesa di Santa Barbara di Taverna, il mio paese
È proprio vero.
Tutto torna, tutto ritorna e tutto si spiega.
Santa Barbara, cui si chiede aiuto per il fulmine e per il fuoco, la notte del 4 dicembre di tre anni fa, mi tirò per i capelli da un fiume impazzito che inghiottiva l’asfalto, mentre io rivedevo la mia vita in un attimo che mi sembrava eterno.
Ecco perché oggi, che è la festa di Santa Barbara (e penso alla “sua” chiesa del mio paese, Taverna), per me è un giorno vero.
Di mosto e grano.
Di pianto e gemma.
Di paese e di mio padre.
Auguri di buon onomastico a chi porta un nome che ho tatuato tra le pareti del cuore.
*Avvocato e intellettuale