Locandina Autonomia Differenziata

Gianni Amelio è la personalità che meglio di ogni altro può svolgere il ruolo di presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia. Sposo in pieno l’appello che le associazioni degli autori, che rappresentano 1300 autori italiani, hanno rivolto al ministro della cultura Giuli, sostenendo la candidatura del regista originario di San Pietro Magisano, uno dei più grandi uomini di cinema d’Europa.

Il ministro superi il criterio dell’appartenenza e premi la competenza e il talento di una così prestigiosa personalità. Il maestro Amelio ha studiato nel nostro liceo “Galluppi” prima di spiccare il volo nel mondo del grande schermo.

È stato anche docente del Centro Sperimentale e dunque conosce perfettamente la Scuola Nazionale di Cinema e la Cineteca Nazionale. Senza nulla togliere agli altri potenziali candidati, ritengo che il Governo, nominando Amelio, darebbe un segnale importante nella direzione della meritocrazia.

Solita immancabile Autonomia

“La Corte Costituzionale ha messo una pietra tombale sulla riforma Calderoli. Quindi la destra di governo ha ben poco da festeggiare. Certo, il ministro e i suoi sodali in queste ore si arrampicano sugli specchi per la necessità politica che hanno di non perdere la faccia; sbandierano come una vittoria l’asserita legittimità dell’intera legge ma la sostanza dei fatti parla chiaro: la riforma leghista è ormai una scatola vuota, alla luce delle illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo, indicate dalla Consulta”. Lo scrive in una nota Daniela Palaia, consigliera comunale e referente regionale dei Comitati per il ritiro di qualunque autonomia differenziata, l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti.

“Ci sarà tempo e modo di leggere la sentenza con le sue motivazioni – scrive ancora Palaia – ma già dal comunicato diffuso dai giudici costituzionali si intuisce la gravità del colpo inferto al tentativo di spaccare il Paese. Basta infatti richiamare alcune disposizioni della legge Calderoli dichiarate incostituzionali per coglierne la portata: la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, e non solo specifiche funzioni; la mancata prescrizione di una legge delega che stabilisca i criteri direttivi per emanare i successivi decreti; infatti, la legge Calderoli li indica nella legge di bilancio 197/2022, fatto che la Corte giudica incostituzionale, ravvisando in questo una lesione delle competenze del Parlamento; la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, comma 3 della Costituzione, alle regioni a statuto speciale che, invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

Inoltre – continua la consigliera – la Corte afferma che il Parlamento non può essere spogliato delle sue prerogative di emendare le Intese; che la distinzione tra materie LEP e non-LEP non può pregiudicare la garanzia dei diritti civili e sociali; che la clausola di invarianza deve collocarsi in un quadro di valutazione complessiva della finanza pubblica, e dunque vanno definiti i fabbisogni per i LEP e, su questa base, decidere le poste finanziarie. La Corte infine pone al Parlamento il compito indefettibile di intervenire per colmare i vuoti creati con la dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni-chiave della legge 86/2024.
Calderoli – conclude Palaia – ostenta disinvoltura rispetto a tutto questo e anzi si spinge fino ad affermare che anche altri pronunciamenti della Consulta non hanno impedito alle leggi vigenti di essere applicate. Cita il tema del fine vita, dimostrando il cinico disinteresse di certa politica verso i drammi umani, ma si rassegni all’idea che non avrà quella secessione che i leghisti inseguono da sempre. Perché se anche il Parlamento dovesse sanare le illegittimità costituzionali, saranno i cittadini con il voto referendario a cancellare la sua scellerata riforma”. 

Caso Delmastro

«L’idea di veder sfilare questo potente mezzo, che dà prestigio, con il Gruppo operativo mobile sopra, e far sapere ai cittadini chi sta dietro a quel vetro oscurato, come noi sappiamo trattare chi sta dietro quel vetro oscurato, come noi incalziamo chi sta dietro quel vetro oscurato, come noi non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato, è per il sottoscritto una intima gioia».

Queste parole di Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, pronunciate in occasione della presentazione della nuova vettura della Polizia penitenziaria per il trasporto dei detenuti in regime di 41 bis.

Casomai qualcuno avesse avuto dubbi sul livello di barbarie politica cui può giungere un esponente di governo, Delmastro ha provveduto a fugarli in radice. Confessare, come ha fatto lui, di provare un’intima gioia all’idea di non lasciare respirare i detenuti dietro i vetri oscurati delle auto della polizia penitenziaria, è un qualcosa che ripugna e suscita un moto di ribellione nella coscienza delle persone civili e, ancora di più, in quella di chi crede nei princìpi costituzionali che impongono alla pena detentiva lo scopo ultimo del recupero dell’individuo alla società e della sua educazione al rispetto della legalità.

È quindi evidente che, con Delmastro, siamo ben oltre il concetto di civiltà del diritto e del rispetto della Carta e siamo, appunto, alla barbarie. Viene da chiedersi se abbia mai letto le statistiche dei suicidi in carcere, tra i detenuti e tra gli agenti di polizia penitenziaria; viene da chiedersi se si sia mai accorto delle battaglie che le Camere penali conducono da anni per denunciare e chiedere un qualche rimedio alla condizione carceraria, indegna di un Paese civile e più volte sanzionata dagli organi di giustizia internazionali; viene da chiedersi se sappia dell’esistenza di tutte le associazioni e del loro impegno civile e politico per dare concretezza al dettato della Costituzione.

Viene da chiedersi tutte queste cose, anche se la risposta è scontata: chi gode delle condizioni afflittive vissute da un detenuto, è al di qua dell’umano. Soprattutto, è vergognoso che sieda sulla poltrona di sottosegretario e per di più alla Giustizia. Ma anche questo, in fondo, non deve stupire. Il governo Meloni non solo non ha mosso un dito per migliorare la condizione carceraria; non solo si è dimostrato lontano anni luce dal voler perseguire il recupero alla società di chi ha commesso reati; ha fatto fin qui esattamente l’opposto.

Ha perseguito politiche securitarie e repressive, comprimendo i diritti e ha alimentato, con posizioni come quella di Delmastro, un clima di odio e scontro sociale, che è criminogeno e i cui rischi per la tenuta democratica del Paese sono enormi. Piuttosto che scandalizzarsi per le lotte sindacali e le proteste studentesche, Meloni dovrebbe chiedere al suo sottosegretario di lasciare seduta stante l’incarico.

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