Riceviamo e pubblichiamo
In questi giorni abbiamo assistito con imbarazzo e disgusto all’ennesima speculazione sulla pelle dei calabresi, ostaggio di una classe politica che trasversalmente, da destra al campo largo, lucra sulle disgrazie di questa regione.
Questa volta il presidente della Regione Occhiuto si è improvvisamente dimesso, accusando tutti e tutte con un gioco di mistificazione degno di un illusionista.
Se fossimo nel gioco degli scacchi sarebbe stata la mossa del cavallo che spiazza l’avversario dando però scacco matto ai calabresi.
Prima la magistratura colpevole, a suo dire, di averlo semplicemente indagato per un’inchiesta in merito ad alcuni incarichi affidati dentro il suo staff, che non si cancella con le sue dimissioni, salvo poi ricandidarsi.
Nessuno intanto ne aveva chiesto le dimissioni, ma nonostante ciò era già iniziato lo spettacolo nelle sue celebri Instagram story in cui recitava la parte della vittima contro il sistema, pure quando ne è proprio lui stesso l’emblema ed il vertice politico.
Insomma il presidente Occhiuto ha utilizzato tutti i trucchi comunicativi possibili ed immaginabili solo per non ammettere davanti ai calabresi la verità.
Si è dimesso perché ha semplicemente fallito.
Perché innanzitutto i suoi alleati, in primis Fratelli d’Italia, gli facevano la guerra. Perché aveva paura di essere lasciato da solo a logorare dalla sua stessa maggioranza.
Insomma è stato un brutale regolamento di conti interno alla destra.
Un gioco di potere che rappresenta tutto ciò di cui una regione in perenne emergenza come la Calabria non ha bisogno.
La sostanza dell’azione compiuta da Occhiuto è un attacco alla residua democrazia di questa regione, che è già da tempo messa sotto scacco da una legge elettorale regionale liberticida, in quanto fissa la soglia di sbarramento all’8%.
Dall’altra parte però abbiamo praticamente il niente.
Perché questo è il centro sinistra ed il campo largo oggi, ovvero un campo santo.
Il simulacro di un ceto politico senza idee, incapace di rivolgersi alle classi popolari, che cerca soltanto di sopravvivere a se stesso, senza alcuna proposta alternativa, senza neppure la capacità di articolare un’opposizione di facciata.
Prova ne è stata la manifestazione sulla sanità del 10 maggio scorso a Catanzaro in cui né il Pd né il Movimento Cinque Stelle né la CGIL (principale braccio organizzativo della manifestazione) sono stati in grado di dire quello che tutti i calabresi sanno purtroppo bene.
Ovvero che sia la politica regionale di destra e sia quella di sinistra hanno contribuito a smantellare la sanità pubblica regionale per favorire i padroni delle cliniche private convenzionate.
Perché in Calabria non si muore ma si viene ammazzati di malasanità.
Serafino Congi e Carlotta La Croce, di soli 12 anni, sono solo le ultime vittime di una strage che va avanti inesorabile.
Sembra assurdo ma nel 2025 qui si muore perché non arrivano le ambulanze. Ed aldilà del racconto social che ne fa l’attuale presidente uscente, sappiamo a nostre spese quanto questa terra sia stata devastata.
Perché al diritto alla salute negato, si aggiunge la crisi idrica di una terra che nonostante sia piena di acqua lascia ancora molte zone e comuni senza.
La mobilità, il trasporto pubblico, il dissesto idrogeologico, la devastazione ambientale, l’avvelenamento dell’aria, del suolo e del mare, rispetto ai quali la Pertusola di Crotone è solo il caso più grave.
Il “declino demografico irreversibile”, come sostiene il governo meloni, la condizione di lavoro, insomma, sarebbe lungo l’elenco dei problemi irrisolti nella realtà di un sistema di sviluppo predatorio fondato sullo sfruttamento e il saccheggio.
E proprio qui entra in gioco la metafora dell’Urobòro, che fotografa con chiarezza la natura del potere in Calabria: “l’Urobòro è un simbolo che raffigura un serpente che si morde la coda formando così una figura circolare.
Simbolo molto antico, presente in molti popoli e in diverse epoche, apparentemente immobile, ma in eterno movimento, rappresenta il potere che divora e rigenera sé stesso, la natura ciclica delle cose, che ricominciano dall’inizio dopo aver raggiunto la propria fine.”
L’Urobòro è il sistema di potere calabrese, dove centrodestra e centrosinistra rappresentano la stessa entità: un mostro che divora sé stesso, fingendo cambiamento ma rigenerando il proprio potere.
Oggi la testa è il centrodestra, ieri lo era il centrosinistra, e domani forse tornerà a esserlo.
Ma la verità è che testa e coda sono la stessa cosa: parti indistinguibili di un unico serpente che tiene i calabresi prigionieri del suo ciclo eterno.
Un sistema di potere intento a “fare man bassa” di tutte le risorse pubbliche, da quelle rappresentate dal Fondo Sanitario, dal PNRR, da i Fondi europei, giusto per fare qualche esempio.
La decisione del centrosinistra di candidare Tridico conferma, qualora ce ne fosse bisogno, questa metafora dell’Urobòro. Tridico, non solo non fa paura al Centro destra, ma rappresenta anche un modo pacchiano di accreditarsi agli occhi del ceto padronale della regione, grazie alle relazioni che l’eurodeputato si è creato all’interno della “Commissione per i problemi economici e monetari” del parlamento europeo.
Così come la probabile candidatura nelle fila del centrosinistra già annunciata di noti esponenti proprietari di cliniche private non fa che rafforzare ulteriormente la metafora: destra o sinistra, il risultato è sempre il nutrimento dello stesso serpente, a spese del popolo calabrese.
L’unico modo per spezzare questa schiavitù è tagliare la testa e la coda del serpente costruendo una reale alternativa dal basso, radicata nelle comunità, capace di rompere il ciclo eterno di rigenerazione del potere.
Dinanzi a tutto questo, siamo disponibili ad interloquire con tutti coloro i quali vogliano costruire una forza alternativa al blocco di potere che dal campo largo alla destra gestisce l’esistente per conto di quelle stesse forze responsabili dei disastri calabresi.
Sulla base di un programma che veda investimenti ingenti nella sanità pubblica e non in quella privata, nei servizi pubblici volti a rispondere ai bisogni peculiari delle persone inascoltate che vivono il nostro territorio, nella scuola e nella cultura, nei trasporti, in misure di sostegno economico e di sussidio per le classi popolari, nella tutela e nella difesa dell’ambiente naturale e delle risorse comuni, nel ripopolamento della nostra regione, anche attraverso forme di accoglienza che possano davvero includere nel tessuto sociale chi arriva e allo stesso tempo siano capaci di incentivare il ritorno di chi è dovuto emigrare, si può costruire sin da subito un’alternativa reale a questo sistema marcio che si diverte e specula sulla vita dei calabresi.
Nessun miglioramento delle condizioni di vita nella regione è possibile se non si spezza il ciclo di riproduzione del potere ponendosi fuori da questo schema.
E diciamolo chiaramente una volta per tutte: chiunque ma proprio chiunque (anche chi si ammanta di nuovismo), non si ponga al di fuori di questo ciclo ne è complice, convivente e responsabile.
A tutti gli altri non rimane che un’alternativa: unirsi per tagliare la testa del serpente!