Premessa d’obbligo per non confondere i piani. Accertare le asserite condotte illecite de LaC sul presunto “spionaggio interno” compete ai giudici, se riterranno che sussistano i presupposti per procedere come sembrerebbe finora, e non a noi. Che nulla sappiamo in merito. E quindi niente possiamo scrivere a riguardo. Sia chiaro. Ci hanno però in generale rimproverato molto volte di aver lasciato posti di lavoro per il bizzarro pallino di voler fare un’informazione troppo… personalistica.
Ecco sul punto, al di là della vicenda LaC rispetto a cui noi ribadiamo di essere totalmente estranei e soprattutto ancora tutta da chiarire nelle sedi preposte che di certo non sono Irriverentemente.com, è facile capire come sia difficile (se non ai limiti dell’impossibile) essere giornalisti liberi in Calabria. E forse nell’Italia intera. Unica eccezione, per quanto ci riguarda, l’esperienza di Gazzetta del Sud. Nostro più grande errore (parliamo delle dimissioni date, come ovvio) ma… giovanile e, diciamo così, con un piccolo ‘concorso di colpa’.
Basti pensare all’ultima collaborazione per cui abbiamo già instaurato un contenzioso giuridico per recuperare compensi (minimi) pattuiti, invece mai ricevuti dopo mesi di lavoro. E potremmo continuare all’infinito, ma preferiamo fermarci qui per non tediarvi (cari amici lettori) con una vicenda personale su cui, se del caso, torneremo a breve. Perché il problema generale è grave molto grave.
Di seguito il testo di articolo e foto tratti da Corriere.it
Riceviamo e pubblichiamo la richiesta di rettifica degli avvocati Mario Murione e Ida Francesca Sirianni, per conto di LaC Network.
In data 23 novembre 2024, sul Corriere.it/ Cronache, veniva pubblicato un articolo, firmato da Carlo Macrì, dal titolo: «LaC News, i giornalisti calabresi spiati dai dirigenti della società editrice: due indagati e sequestri. “Eravamo sotto ricatto per tenere il posto di lavoro”». Nel testo di tale articolo l’autore, prendendo spunto dalla esecuzione di un provvedimento di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia, veicolato ai mezzi di informazione da una nota stampa della Questura di Vibo Valentia del 21 novembre 2024 che ometteva ogni riferimento alle persone fisiche e giuridiche interessate dall’attività di perquisizione e sequestro, si riportavano, virgolettate, le affermazioni del «cronista Pietro Comito» che «ha denunciato ed ora racconta: “È stata dura lavorare in quella redazione, era difficile ribellarsi”».
L’articolo proseguiva affermando: «Giornalisti spiati … per carpire dialoghi e conversazioni a chi di mestiere ha l’obbligo di informare. I giornalisti di LaC, network calabrese gestito dalla società Diemmecom … erano costretti a rinchiudersi nei bagni o, uscire all’aperto, per discutere tra loro notizie che la direzione della televisione avrebbe potuto censurare o di altre questioni che ritenevano delicate».
A queste, seguiva una ulteriore gravissima affermazione: «Quello che più stupisce in questa indagine è come venivano trattati i giornalisti de LaC. ” Eravamo tutti vittime – spiega Pietro Comito – … per anni non ci siamo ribellati per salvaguardare il nostro posto di lavoro ma, è stata una sopportazione, che mi ha lasciato il segno. È stata una fatica enorme resistere ma, alla fine non ne potevo più di essere costantemente spiato”».
Ora, è, anzitutto, necessario premettere che il Comito è l’autore della denuncia, unitamente ad altro giornalista, che ha portato alla emissione del provvedimento di perquisizione e sequestro oggetto dell’articolo, atto per sua natura privo di qualsivoglia significato in ordine alla fondatezza delle accuse formulate. Tra l’altro, proprio il Comito ha ricoperto per molti anni ruoli apicali nella azienda, da condirettore a direttore, da conduttore del Tg a conduttore dei programmi di punta d’inchiesta del network, sui quali non ha subito alcuna censura o condizionamento, avendo lo stesso più volte sottolineato pubblicamente l’indipendenza e l’autonomia della testata e del proprio agire.
Ciò premesso, da quanto sopra evidenziato emerge agevolmente che nella divulgazione delle suddette notizie il Macrì non ha rispettato i requisiti richiesti per l’esercizio legittimo del diritto di cronaca e/o di critica, perchè ha riportato, amplificandone il significato denigratorio, le posizioni del solo Comito, senza porre minimamente il dubbio che un ex direttore, investito dall’editore che ha poi denunciato, di un potere e un’autorevolezza fortissimi all’interno del network, potesse avere motivi personali per denigrare lo stesso editore e gli altri colleghi giornalisti, additati come succubi di un sistema che li condizionava nella loro libertà di informazione.
Il Macrì, pertanto, si sarebbe dovuto quantomeno chiedere come abbia fatto un giornalista asseritamente vessato e censurato per molti anni a divenire uno dei giornalisti calabresi più noti! Ciò anche in considerazione del fatto che, all’indomani della esecuzione del provvedimento di sequestro di cui sopra, la società Diemmecom aveva già chiarito, nella comunicazione stampa del 22 novembre 2024, di cui l’articolista Macrì non fa alcuna menzione, le ragioni per le quali le accuse del Comito erano prive di fondamento.
L’articolo in questione, invece, contrariamente all’interesse pubblico ed in assoluta assenza di continenza della forma espositiva, ha riportato esclusivamente le accuse del Comito secondo cui «i giornalisti venivano spiati dall’editore…con microfoni e telecamere direzionali … per carpire dialoghi e conversazioni», dando solo rilievo ad un presunto atteggiamento vessatorio tenuto dall’editore («stupisce …come venivano trattati i giornalisti de LaC. “Eravamo tutti vittime – spiega Pietro Comito – … per anni non ci siamo ribellati per salvaguardare il nostro posto di lavoro ma, è stata una sopportazione, che mi ha lasciato il segno… essere costantemente spiato>”»).
A fronte di tali gravissime dichiarazioni, ed anche alla luce dei chiarimenti della società, il giornalista e autore dell’articolo in questione, però, non ha sentito minimamente l’esigenza di sincerarsi della veridicità delle affermazioni del Comito, neppure quando questi ha coinvolto i suoi colleghi giornalisti descrivendo comportamenti di inaudita gravità: «I giornalisti di LaC network calabrese gestito dalla società Diemmecom … erano costretti a rinchiudersi nei bagni o, uscire all’aperto, per discutere tra loro notizie che la direzione della televisione avrebbe potuto censurare o di altre questioni che ritenevano delicate».
L’articolista, che si intuisce aver condotto una sorta di intervista a Pietro Comito, avrebbe dovuto almeno chiedere all’interessato perché abbia assunto tale decisione dopo molti anni di permanenza nel network a livelli apicali, e cosa è cambiato al punto da indurre uno dei cronisti più conosciuti della Calabria, a sporgere denuncia contro il suo editore. Doverosa sarebbe stata anche la individuazione dei giornalisti destinatari di tale trattamento, senza fare parlare il Comito per conto e per nome di decine di professionisti; così come sarebbe stato oltremodo necessario provvedere a raccoglierne la relativa versione degli accadimenti, come imporrebbe un giornalismo di inchiesta esercitato in maniera corretta.
Si è, invece, preferito fare da cassa di risonanza ad una notizia inverosimile, già nei suoi contenuti essenziali («i giornalisti…spiati dall’editore…con microfoni e telecamere direzionali … per carpire dialoghi e conversazioni», «…tutti vittime… per anni … costretti a rinchiudersi nei bagni o, uscire all’aperto, per discutere tra loro notizie che la direzione della televisione avrebbe potuto censurare o di altre questioni che ritenevano delicate»), che avrebbe potuto facilmente essere ricondotta nella giusta dimensione attraverso una semplice interlocuzione con la direzione de LaC o con i giornalisti che vi prestano da anni attività lavorativa. Non è un caso, infatti, che a seguito della pubblicazione dell’articolo in questione, i giornalisti del Gruppo Diemmecom hanno inteso smentire e respingere «con fermezza simili e fantasiose ricostruzioni», definendo la ricostruzione fatta dall’articolista e dal Comito «illazioni che non trovano riscontro nella realtà».
Si tratta «dell’intero corpo redazionale» e, quindi, di quei giornalisti «spiati dall’editore…vittime per anni … costretti a rinchiudersi nei bagni …per discutere tra loro le notizie … o altre questioni delicate»! E l’articolo in questione ha sferrato un attacco gravissimo proprio alla credibilità dell’intera categoria dei lavoratori dell’informazione, senza che l’autore si sia posto neppure il problema della lesione arrecata all’immagine dei predetti professionisti, ledendone l’onorabilità e la reputazione, unitamente a quella di un intero network, che opera in un contesto difficilissimo come quello calabrese.
Naturalmente, non è questa la sede per approfondire argomenti di carattere spiccatamente giuridico, anche sulla eventuale ipotesi di reato che si potrebbe ravvisare nella condottadell’editore, né si vuole farlo. Ma crediamo che sia primario interesse di tutti i giornalisti e pubblicisti conoscer appieno i fatti, prima di divulgarli, nel rispetto di un corretto esercizio di diritti quali quello di cronaca e quello di critica, ineludibili in un vero sistema democratico, e pur tuttavia doverosamente esplicati solo ove rispettino anche i fondamentali diritti della persona, fisica o giuridica, al nome, alla reputazione, all’onore e all’immagine, per come impone, altresì, lo stesso codice deontologico; tanto più da parte di chi non solo si assume il compito di informare -nei cui confronti si instaura spesso un vero e proprio affidamento circa la verità assoluta di quanto pubblicato- ma anche ad opera di chi come il Comito, nello specifico, definito come uno «tra i più conosciuti cronisti calabresi», proprio grazie alla attività svolta presso il Gruppo Diemmecom possa dichiarare di agire per altissimi ideali di verità e di etica!
In ogni caso, considerata la «qualità costituzionale» degli interessi oggetto di trattazione, in cui la tutela della reputazione e degli altri diritti della personalità risultano gravemente offesi dall’illegittimo comportamento dell’autore, realizzata attraverso la pubblicazione incontrollata ed illegittima di affermazioni ricevute in assenza di contraddittorio con gli interessati da quelle affermazioni, la Società Diemmecom ed i soggetti coinvolti nell’articolo in questione intendono esercitare ogni diritto riconosciutogli dall’ordinamento giuridico in tutte le competenti sedi giudiziarie, nelle quali potranno adeguatamente rappresentare, con tutte le garanzie previste dalla legge, la propria versione dei fatti: attività che da questi giornalisti (Macrì e Comito) gli è stata totalmente, quanto brutalmente, negata.
Alla luce di quanto evidenziato, appare chiaro che l’articolo in questione e le dichiarazioni riportate contribuiscono a dare una versione distorta del reale accadimento dei fatti, essendosi strumentalmente ed apertamente affermato, senza il rispetto dei requisiti per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, che il Comito sia stato vittima di una ingiustizia, o meglio, che tutti i giornalisti dei network facenti capo all’editore Diemmecom siano stati vittime di soprusi, per non essere neppure liberi, evidentemente, di dare una corretta ed oggettiva informazione!
Pertanto, si rende necessario provvedere alla rettifica del medesimo.
1 Le affermazioni attribuite a Comito per cui i giornalisti di LaC News24 sarebbero stati per anni sotto ricatto, vittime di condizionamenti e censure, sono palesemente infondate, oltre ad essere state prontamente smentite dai giornalisti stessi, che in un documento pubblico scrivono, tra l’altro: «L’intero corpo redazionale smentisce e respinge con fermezza simili fantasiose ricostruzioni. Illazioni che non trovano alcun riscontro nella realtà. Abbiamo sempre svolto e continueremo sempre a svolgere il nostro lavoro nel rispetto delle regole deontologiche, perseguendo come unico fine quello di informare i nostri lettori, liberi da qualsiasi condizionamento interno o esterno».
2 Comito nel corso degli anni ha ricoperto ruoli apicali dentro LaC News24, compresi quelli di direttore, condirettore, principale conduttore del Tg e dei programmi di punta d’inchiesta su temi scottanti che, come evidente, non hanno subito censura alcuna, facendolo diventare, come scrive Macrì, «uno dei più conosciuti cronisti calabresi»: come avrebbe potuto farlo un giornalista vessato e censurato? Lo stesso Comito ha pubblicamente e più volte sottolineato l’indipendenza e l’autonomia della testata in cui operava e del proprio agire.
3 L’inchiesta ha preso origine dalla denuncia di alcuni ex dipendenti, dimessisi in forte contrasto con l’azienda, e le successive perquisizioni e conseguenti sequestri, aventi ad oggetto normali telecamere di sicurezza e un apparato DVR, sono stati determinati dalla ricerca di riscontri alle dichiarazioni da essi rilasciate su fantomatiche attività di “spionaggio” ai loro danni. Ma su questa e sulle altre questioni oggetto d’indagine (orari di lavoro e ammortizzatori sociali), oltre che sulle motivazioni che hanno spinto gli ex dipendenti a fare determinate dichiarazioni, si farà chiarezza nelle sedi giudiziarie opportune.
Risulta incomprensibile come si siano potute gettare ombre su un’intera classe giornalistica coraggiosa, qualificata e particolarmente esposta sul fronte di un’informazione puntuale in una terra difficile, alimentando la falsa immagine di professionisti pavidi e piegati a piccoli interessi, quando sarebbe bastato verificare il lavoro che quotidianamente viene prodotto per comprendere quanto possa essere fuorviante e ingenerosa una simile lettura.
Si invitano, quindi, i destinatari della presente a rettificare l’articolo in oggetto riportando integralmente le affermazioni contenute nel comunicato già rilasciato, sopra richiamate, dandone la medesima divulgazione, con lo stesso risalto e con le stesse modalità dell’articolo in oggetto, in tutti i giornali, siti o blog in cui è stato pubblicato, provvedendo entro massimo 48 ore dal ricevimento della odierna richiesta. Ferma restando la inevitabile tutela dei diritti dei propri assistiti dinanzi alle Autorità competenti.
La replica del giornalista del Corriere della Sera (estensore del pezzo oggetto di smentita) Carlo Macrì
L’articolo riporta fedelmente il provvedimento del Gip di Vibo Valentia e le frasi dell’intervista rilasciatami dal giornalista Pietro Comito. Carlo Macri