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Riceviamo e pubblichiamo

“Il clima culturale sviluppatosi intorno al tema dell’autonomia differenziata sta diventando ogni giorno sempre più ostile, e questo scoraggia molte persone dal prendere posizione pubblica a favore. Eppure, una rapida analisi dei “conti pubblici territoriali” dimostra che la Calabria avrebbe tutto da guadagnare dal passaggio all’autonomia differenziata.

Gli ultimi dati dell’Agenzia della Coesione (peraltro incompleti e fermi al 2021) ci informano infatti che la spesa pubblica territoriale viene dirottata quasi interamente nelle regioni a statuto speciale”.

La nota è il primo documento prodotto dal Gruppo di Lavoro sull’Autonomia Differenziata, che si è costituito il 6 settembre al convegno del Resort Costa Blu a Sellia Marina.

“Come per magia, le province autonome di Trento e Bolzano ricevono rispettivamente 25 e 23 mila euro per abitante, mentre la Calabria poco meno di 14 mila (Fonte: Agenzia per la Coesione Territoriale).

Un cittadino calabrese vale di meno di uno di Bolzano? La Calabria, che ha quasi 4 volte la popolazione del Trentino A.A., riceve però il 40% in meno di risorse destinate a servizi pubblici, i quali – già oggi – non sono uniformi sul territorio nazionale, con buona pace di quanti si dicono contrari all’autonomia differenziata.

Anche cambiando gli indicatori di riferimento, il risultato è sempre lo stesso: la Calabria, che ha una popolazione residente pari al 3% circa del totale nazionale, riceve risorse pubbliche pari a circa il 2,5% delle entrate tributarie erariali, dunque al di sotto della media pro-capite. Al contrario il Trentino A.A., che di popolazione residente ne ha circa l’1,8% del totale nazionale, ottiene la stessa percentuale di risorse della Calabria.

L’attuale meccanismo di finanza pubblica prevede un “doppio binario”: uno per le regioni a statuto ordinario, alle quali viene assegnata annualmente una quota di compartecipazione ai tributi erariali (attualmente intorno al 67%, da ripartire ulteriormente sulla base della media dei consumi triennali rilevati dall’Istat) ed uno per le regioni a statuto speciale. Enormi differenze sussistono tuttavia anche tra le stesse regioni a statuto speciale, visto che – per esempio – in Valle d’Aosta rimane il 100% del gettito IVA prodotto sul territorio, mentre il 90% rimane nelle province autonome di Trento e Bolzano, il 70% in Sardegna, e appena il 36,4% in Sicilia (nota 1).

Visto che i diritti di cittadinanza garantiti dalla Costituzione devono essere validi su tutto il territorio nazionale, non si capisce perché alcuni territori debbano avere risorse “speciali” destinate a servizi pubblici che invece mancano in altri territori.

Sarebbe sufficiente riequilibrare la spesa pubblic al livello della popolazione per restituire alla Calabria almeno un 20% di risorse che – pur prodotte qui – finiscono altrove e forse, col tempo veder sparire quel debito sanitario da cui la Calabria non riesce ad uscire.

Anche sul lato della spesa esistono numerose iniquità, poiché le regioni a statuto speciale non sono chiamate a contribuire ai programmi di riduzione della spesa pubblica nazionale (salvo una piccola quota forfetaria), a differenza delle regioni a statuto ordinario, dove i tagli alla spesa pubblica sembrano non finire mai. Questa iniqua ripartizione della finanza pubblica, che crea vincitori e vinti, va avanti da almeno un quarto di secolo, e si è ulteriormente accentuata dopo la pandemia, sebbene finora nessuno vi abbia posto mano.

E, benché non esistano studi ufficiali esaustivi sull’argomento, viene spontaneo chiedersi se l’aumento dei divari socioeconomici a livello territoriale tra Nord e Sud sia da attribuire all’attuale assurdo meccanismo di ripartizione della finanza pubblica a livello territoriale, anziché alla solita, stancante tesi del Mezzogiorno vagabondo e inefficiente. Ad uno studio più attento si scoprirebbe che l’attuale meccanismo di ripartizione della spesa pubblica è completamente aleatorio: il calcolo dei “residui fiscali” (ossia la differenza tra entrate e spesa primaria) non è oggettivo ma dipende dalla metodologia adottata, che peraltro differisce nelle rilevazioni di Banca d‘Italia o della Ragioneria Generale dello Stato oppure Istat ecc.

Inoltre, il “residuo fiscale” è oggetto di contrattazione politica in seno alla Conferenza Stato-Regioni, e ciò toglie non solo ogni credibilità a tale parametro decisionale, che non è indipendente, ma solleva legittime perplessità sul peso politico della rappresentanza calabrese nei tavoli nazionali.

Prosegue il gruppo di lavoro coordinato dall’imprenditore Giuseppe Nucera del movimento ‘La Calabria che vogliamo’ e l’economista Matteo Olivieri.

Il passaggio all’autonomia differenziata cancellerebbe di colpo queste storture, e consentirebbe alla Calabria di usufruire sul proprio territorio di risorse finanziarie che oggi finiscono fuori regione per finanziare la spesa altrui.

A ben vedere, l’autonomia differenziata non contrappone il Nord al Sud, ma aggiunge trasparenza al meccanismo di ripartizione della spesa pubblica (tramite cui garantire i diritti costituzionali), e riequilibra la distribuzione di risorse tra regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale attraverso il superamento della c.d. “spesa storica” e la contemporanea definizione di Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), che lo Stato si impegna a finanziare interamente.

Per questo motivo, la definizione di livelli essenziali di spesa comporterebbe molto probabilmente un aumento (!) delle risorse finanziarie a favore del Meridione, e non invece una sua diminuzione, come invece in molti vanno sostenendo.

Un esempio aiuterà a capirci: il numero di asili nido sono stati inclusi nei LEP nella misura del 33% di posti da garantire per i bambini sotto i tre anni entro il 2027. Ebbene, dalle rilevazioni condotte (nota 2) nell’anno educativo 2022/2023, risulta che «i posti disponibili nei nidi, nelle sezioni primavera e nei servizi integrativi pubblici e privati hanno raggiunto sul territorio nazionale una copertura pari a 30 posti ogni 100 bambini residenti fra 0 e 2 anni (14,3 posti per 100 bambini sono in servizi a titolarità pubblica).»

Tutte le regioni del Centro-Nord hanno raggiunto o superato il livello minimo di copertura di 33 posti, con la sola eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano, mentre nel Mezzogiorno solo la Sardegna si colloca al di sopra di tale parametro con 35,2 posti. Pertanto, la Calabria si trova “costretta” a raggiungere tale obiettivo minimo entro un tempo prestabilito inderogabilmente, e dunque a poter chiedere ulteriori risorse per raggiungere tale obiettivo.

Ciò comporta degli indubbi vantaggi inattesi per la nostra regione, poiché da quest’obbligo consegue pure un maggior potere di controllo del bilancio delle PP.AA. da parte dello Stato e dei cittadini, evitando così che le risorse vengano spese in ambiti clientelari o comunque non prioritari.

L’evidente miglioramento della capacità di monitoraggio della spesa pubblica avverrebbe poi salvaguardando gli equilibri di bilancio statale e regionale, come recita la legge 86/2024. Infatti, le stime fatta dalla Banca d’Italia, secondo cui per il finanziamento dei LEP occorrerebbero 100 miliardi di Euro, non comporterebbero l’assunzione di nuovo debito pubblico (col conseguente paventato rischio di collasso dei conti pubblici) ma semplicemente una nuova modalità di ripartizione di risorse finanziarie già esistenti.

Appaiono dunque infondate le critiche mosse alla legge sulla autonomia differenziata, accusata di voler spaccare l’unità nazionale, di creare un “far-west”, oppure uno “Stato arlecchino” o la “secessione dei ricchi”. A dirla tutta, la legge 86/2024 (“c.d. legge Calderoli”) prevede ampi e adeguati meccaanismi di garanzia contro la rottura dell’unità nazionale: si va dal doppio voto a maggioranza assoluta del Parlamento sulla bozza preliminare di intesa Stato-Regioni e poi sul documento finale, alla possibilità di rivedere ogni tre anni i LEP per adeguarli al mutato contesto socioeconomico, al ritiro unilaterale dell’intesa da parte del Governo qualora ci fossero fondati motivi per ritenere a rischio l’unità nazionale.

Sono dunque auspicabili tante occasioni di dibattito pubblico per spiegare ai calabresi i vantaggi reali della autonomia differenziata, al di là di letture ideologiche, semplicistiche o denigratorie del tema, che purtroppo confondono le menti e inquinano il leale confronto tra posizioni differenti.

(1) Cfr. Camera dei Deputati, Servizio Studi XIX Legislatura, “La finanza regionale”, 5 agosto 2024. (2) Cfr. “Attività conoscitiva sull’attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale”. Audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica Dott. Stefano Menghinello, Direttore della Direzione centrale per l’analisi e la valorizzazione nell’area delle statistiche economiche e per i fabbisogni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, 26 giugno 2024″.

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