Tutte le opinioni sono opinabili, ma rispettabili. Una regola fondamentale che in linea di massima noi osserviamo. Ma con malcelata fatica di fronte a chi ad esempio a ogni servizio giornalistico ‘nazionale’ sulla ‘ndrangheta si indigna. “La Calabria è anche altro”, strepitano infatti questi negazionisti de… noantri. E grazie al ca@@o, ribattiamo noi con solita finezza! Altrimenti sarebbe la Colombia di Pablo Escobar Gaviria. Perché ce li sbattiamo il mare, la montagna e il buon cibo, se nel mare forse ci sono i fusti con le scorie radioattive e chimiche; in montagna le “vacche sacre” sono libere di pascolare e far danni dove vogliono in nome di un’intoccabilità che porta a uccidere a sangue freddo chiunque vi si opponga; molti dei villaggi turistici sono in mano alle ‘ndrine e addirittura certe materie prime per far da mangiare sono forniti da gente legata alle cosche. 

Mai dire cbe in Calabria c’è la ‘ndrangheta, “para bruttu”! 

“Ma dire ciò rovina l’immagine e l’economia calabresi”, si lagnano ancora gli intellettuali dei nostri stivali. Mentre pronunciano, ci auguriamo del tutto inconsapevolmente, più o meno la stessa frase detta a inizio anni Ottanta dal presidente della Corte d’Appello di Palermo Giovanni Pizzillo all’allora consigliere istruttore Rocco Chinnici. Un giudice, quest’ultimo, fatto saltare in aria con un’autobomba nel 1983. Esortato a fermare un altro gigante della Magistratura quale Giovanni Falcone. Che, ad avviso di “Sua Eccellenza” Pizzillo, era da “caricare di processetti per non avere il tempo di scoperchiare pentole invece da non scoperchiare per non rovinare l’immagine e l’economia palermitana”. 

La ‘ndrangheta è un cancro. Bando dunque a ogni… lamentela pelosa

E lo stesso come premesso varrebbe per la Calabria. Che però ha decine di cosche mafiose attive sul territorio. Da Cassano ad Archi. Che ogni istante di ogni singola giornata commettono reati. Piccoli, molto raramente. E assai più spesso grandi, anzi ancor più spesso orribili. E menomale che l’azione nefasta di questo cancro in metastasi, peraltro esportato prima in tutta Italia e poi in tutto il mondo come una peste nera, viene in parte bilanciato dal comportamento della gente onesta. In cui, attenzione però, si infiltra e si mischia una classe imprenditoriale e di professionisti in affari o addirittura a libro paga della mafia. Ecco allora che a noi fa letterale ribrezzo il negazionismo di chi vorrebbe sottacere come la regione si erga su una montagna di ‘ndrangheta e quindi su una montagna di merda. E i giornalisti, locali e nazionali, che lo raccontano, talvolta a prezzo di gravissimi rischi personali, fanno solo il loro dovere. Ma con coraggio. Ergo, bando a ogni lamentela… pelosa!

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