Riceviamo e pubblichiamo

Solo gli errabondi hanno una certezza che li condurrà alla meta.

È l’assenza di dogane, margini e confini.
È la loro capacità di annettere un senso anche all’inutile, all’indefinito, all’inedito.
E, soprattutto, al vuoto.

Il vuoto sa essere un concetto policromo e policentrico.

Ne hanno parlato in tanti, da Parmenide a Democrito, da Aristotele ad Heidegger
Il vuoto non è abbandono, astrazione, privazione.

Non è assenza. Assenza di corpi, di materia, di spazio. Di noi. Il vuoto è.

È un pretesto, un’idea, un’opportunità.
È libertà nella sua più ancestrale delle accezioni.

Ergo, è arte nella sua forma più pura, sacra, virginale.

Ieri sera, nel cuore di una Cosenza vecchia spettacolare, che sembrava sospesa su uno schizzo di Danubio, ospiti della leggiadria e della squisitezza di Marilena Sirangelo e Claudia Sirangelo e della Ellebi Galleria e Dimora d’Arte, una storica dimora e galleria d’arte dalla bellezza spiazzante, si è parlato di vuoto.

A dargli forma, sostanza, essere, sono state le opere di Antonio Tropiano.

Non capisco nulla d’arte.

Mi sforzo a starle dietro, e tuttavia mi perdo.
Ieri, però, nel mio errare quotidiano, non mi sono perso.

E  ho trovato il coraggio di azzardare, e di riempirlo quell’intervallo di contenuti che aleggia in chi è alla perenne ricerca del senso della propria esistenza.

Mi è bastato cercare l’anima nel legno.
Mi è bastato vedere una foglia, un sacchetto di carta, un baccello di carrubo e chi si piega per cercare le stelle.

.Mi è bastato vedere negli occhi il cuore di Antonio e nelle sue mani il vuoto.

Lo iato che è ποίησις. armonia del mondo.

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